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La suggestiva somiglianza tra la Juventus di Allegri e il Milan di Allegri nel 2012

Il secondo Milan di Allegri era una squadra destinata al successo, piena di campioni, che però accusò una crisi e lasciò campo alla freschezza della Juventus.

I più forti che si fanno apatici

Il passato ritorna, o meglio, il passato è spesso un segnale di direzione futura. Non siamo mai tanto diversi da quello che eravamo, le nostre azioni, per quanto in contesti e in tempi differenti, non si discostano nell’assoluto da un certo modo di fare, di essere e di subire gli avvenimenti.

Vogliamo, o meno, alla vita si reagisce e si soggiace. Il passare del tempo ci costringe a migliorarci sotto qualsiasi aspetto: è sopravvivenza. Di frequente, però, restiamo gli stessi proprio nell’accettazione. Joseph Conrad parlava di momenti di passività eroica alla quale persino i più valorosi si rassegnano.

Ecco, adesso, dubito che il 25 aprile a Vinovo il tifo organizzato bianconero incitasse, o contestasse (questo credo non sia chiaro nemmeno a loro, benché la differenza non sia sottile) la propria squadra in nome di un pensiero dello scrittore polacco. Sono alquanto sicuro, invece, che lo facessero per la stessa idea di fondo e per scongiurarla. I sei volte campioni d’Italia, che quest’anno (ricordiamolo per dare valore all’impresa azzurra) hanno la seconda media punti, il miglior attacco e la miglior differenza reti degli ultimi sette anni, sono diventati, di colpo, indolenti.

I più forti che si fanno apatici, non è mica la prima volta, chiedere ad Allegri. Allegri, finito nel mirino della critica per mancanza di gioco (quel gioco inutile se si ottengono comunque i risultati, o almeno recitavano così fino a domenica). Proprio lui avrà pensato, lo avrà fatto di sicuro negli ultimi giorni, di essersi ritrovato, questa volta insieme a dei ragazzi diversi, in uno di quei momenti di passività.

Sei anni fa

Sarà cosi ritornato indietro negli anni. Stagione 2011-2012, era il Milan di: Nesta, Thiago Silva, Zambrotta, Boateng, Gattuso, Seedorf, Nocerino in doppia cifra, van Bommel, Pato, Cassano, El Shaarawy, Ibra, Inzaghi, Robinho. I rossoneri partono sottotono, la Juve è campione d’inverno (trovate le somiglianze!). A marzo c’è il sorpasso, Milan primo, la differenza sembrano farla i campioni, Zlatan su tutti; alla 27esima hanno quattro lunghezze di vantaggio. Poi si stacca la spina: pari al Massimino di Catania; sconfitta interna con la Fiorentina in cerca di punti salvezza; passo falso con il Bologna di Pioli, derby perso.

Ricordiamola quell’annata, i rossoneri avevano tutto: equilibrio tattico, pragmatismo, qualità tecnica elevata, forza fisica, elementi non più giovanissimi, capaci di vincere tutto nel corso della loro carriera, di spessore internazionale tanto da esserci sempre nei momenti del bisogno (trovate le somiglianze pt.2). Eppure quel Milan passò da padrone del proprio destino a oppresso dal proprio destino.

Ci fu qualcosa di tragico in quel percorso. C’è qualcosa di tragico nell’animo umano, anche in quello dei campioni, che ci spinge dopo lunghi combattimenti a rinunziare ai nostri fini, a sbarazzarci del peso della nostra esistenza. Se Juve e Napoli fossero due pugili in lotta per la cintura, potremmo immaginare i bianconeri come il campione iridato che vive le ultime riprese come un avvicinamento alla fine per poi lasciarsi cadere; mentre lo sfidante, l’azzurro, imperversa per determinare la caduta. Non è questione di punti di vista ma di necessità.

Juve-Napoli come un incontro di boxe

La necessità che ora ha probabilmente la Juve di arrivare solo alla fine, quattro giornate alla resa più che alla lotta (scudetto in questo caso). Rassegnarsi per non capire cosa l’è successo e come sia successo di non essere all’altezza del proprio stesso essere, sentirsi bene nella mancata consapevolezza di questo. A Napoli diciamo spesso che i bianconeri hanno sette vite, come i gatti, che nel momento in cui festeggi la loro morte risorgono. Oggi la realtà ci dice qualcosa di diverso, diverso come le facce dei giocatori, come l’insofferenza di Higuain, l’abulia di Dybala, l’inconsistenza di Pjanic, le disattenzioni di Benatia e il nervosismo di Buffon, da esempio di soli valori positivi a modello di quella irrequietudine segno del qualcosa dentro che ti eccede ed elude e che se nato è inevitabile. Inevitabile tanto che l’unico conforto è la serena accettazione.

Tutto questo, nonostante l’indole napoletana che racchiude in sé scaramanzia e la condizione che rende spesso vittime di una sorte beffarda, mi restituisce una forte convinzione: che lo scudetto si deciderà questo fine settimana.

P.S. Però facciamo le corna.

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