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Stasera non guarderò Italia-Argentina, mi hanno rubato un sogno

Il rammarico di un tifoso della Nazionale, che non seguirà Italia-Argentina dopo la delusione sportiva e culturale della mancata Coppa del Mondo.

Al di là dei colori

Credetemi: da quand’ero piccolo ho sempre vissuto il “momento Nazionale” con gradissimo entusiasmo. Nonostante vivessi in una città in cui l’attaccamento all’unità calcistica, così come all’unita in generale, non è mai stato in primo piano, il passaggio dall’azzurro cielo all’azzurro mare l’ho sempre sentito naturale, lecito, in qualche modo dovuto.

C’è qualcosa di aggregante, azzarderei rituale, nell’aprire l’armadio e tirare fuori una sciarpa tricolore, una maglia Puma, per indossarla a cena, saltando da una sedia ad un divano, in compagnia di amici, birra e pizza. Trovarsi ad imprecare per lo stesso motivo con un bianconero, esaltarsi per la rete di un giallorosso o una scivolata di un milanista è fantastico, è fantastico riscoprirti e riscoprirsi nella somiglianza.

Da parte del tutto, sei il tutto. Non è filosofia, bensì passione. Quella che lega anche quando gli elementi per farlo non ci sono, dove l’alchimia non arriva.

Italia come cavia

Stasera affronteremo l’Argentina, poi l’Inghilterra. Due tra le selezioni più importanti nella storia del calcio mondiale. Da tifoso dovrei essere infervorato, organizzare belle serate comuni, aspettare con ansia il momento dell’inno (elettrizzante), ma stavolta non è così. Alleneremo gli uomini di Messi, prima, e quelli di Dele Alli, poi, non può esserlo.

Ci hanno tolto il Mondiale ed adesso faremo da cavie a chi ci andrà. Non credete sia troppo? La fede è fede, comincia dove finiscono i ragionamenti e non dovrebbe avere uno scopo, se credo in Dio non dovrei farlo per meritarmi la salvezza eterna, certo, me la auguro ma ci credo e basta, se poi mi dovesse andare bene tanto di guadagnato.

Così tenere ad una squadra esula dagli obiettivi, vogliamo tutti vincere, speriamo ardentemente di farlo ma siamo consapevoli che potrebbe essere altrimenti.

Il sogno

Eppure lasciando da parte la meta, qualsiasi forma di credenza presuppone un’attesa, intesa non come pausa o intervallo di tempo ma come illusione, sogno. Il Mondiale era il sogno, il Mondiale è il sogno da sempre, di tutti. Quando sei bambino e t’immagini calciatore vuoi alzare la Coppa del Mondo. Oppure vuoi che lo faccia il tuo idolo. Da adulto cambia poco, ricordo le formazioni del 2006 a memoria, cosi come la corsa senza direzione di Pirlo dopo l’ultimo rigore, le parole di Caressa, il cielo sopra Berlino. Mio padre ancora parla dell’urlo di Tardelli, dei gol di Pablito, sono passati 36 anni!

La verità è che il sistema calcio italiano ha sottratto a ognuno di noi il sogno e all’intera Nazione una consueta occasione per essere società. Società come come vera definizione del termine (df. unione). Abbiamo pagato di tasca nostra le loro falle, hanno ristrutturato quando c’era bisogno di rifondare, abbellito quando bisognava ricostruire. Ci hanno trascinato sul fondo del barile, al punto più basso mai raggiunto nella storia del nostro calcio.

Ci crediamo migliori di quello che siamo

Il grande errore è stato quello di crederci più forti e più belli di quanto in realtà, da una decina d’anni, non siamo mai stati al di fuori delle mura amiche. Il triplete dell’Inter, le due finali della Juve non erano, come hanno osato credere, la manifestazione di una ripresa, semplicemente casi a parte, frutto di bravura di allenatori, giocatori, società.

Pensavano fossero rappresentazione della strada intrapresa, sopravvalutavano, sono stati autoreferenti perseguendo ideologie sbagliate. Hanno peccato d’incompetenza e hanno finito con l’incidere su uno di quei pochi momenti di condivisione e costruzione d’identità che il nostro Paese ha di autentico.

Anche questa estate avrà radici nella divisione che ci contraddistingue, ci forma, ci limita. Stasera andrò a cena fuori. Le uniche partite che guarderò da qui a settembre saranno di squadre di club.

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