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La scuola Belvedere non dimentica gli orrori della Shoa. E vince un premio

I ragazzi di terza vincono il concorso nazionale della Fondazione Valenzi. In mostra a scuola, fino al 20 febbraio, i lavori degli alunni

La scuola Belvedere non dimentica gli orrori della Shoa. E vince un premio

Le vicende della famiglia Sacerdote, quelle della famiglia Levi, le atroci sofferenze del piccolo Sergio De Simone, deportato a soli sette anni ad Auschwitz ed ucciso nel nome della follia del terribile dottor Mengele e l’incredibile coincidenza di eventi che ha strappato all’oblio Misi e Titti Mitzger, due piccoli ebrei ungheresi morti ad Auschwitz. Sono queste le storie raccontate lo scorso 29 gennaio nella conferenza organizzata presso la scuola media Andrea Belvedere per celebrare l’anniversario della liberazione di Auschwitz.

scuola Belvedere

Il premio vinto dalla Belvedere

L’istituto guidato dalla preside Daniela Costa ha invitato testimoni della Shoa a raccontare le atrocità del nazifascismo ai ragazzi delle terze.

Proprio con un video che rivisita le vicende di Misi e Titti Mitzger, la terza C dell’Istituto, con la supervisione della professoressa Lafranceschina, ha vinto il concorso nazionale ‘Io non dimentico’, promosso dalla Fondazione Valenzi nell’ambito della nona edizione del progetto Memoriae.

La storia di Misi e Titti Mitzger

Ma partiamo dall’inizio. Tutto ha avuto origine nel 2015, quando una professoressa della Belvedere, Agi Berta, fu incaricata di organizzare la commemorazione del giorno della memoria presso l’Istituto.

Durante la preparazione dell’evento, la professoressa incappò in un articolo di Nico Pirozzi in cui si parlava di Lenti, il suo paese di origine, in Ungheria. Pirozzi, studioso dell’olocausto in Campania, aveva scoperto che nell’anagrafe di Altavilla Silentina, in provincia di Salerno, risultavano 51 ebrei nati tra il 1800 ed il 1942, un numero molto grande rispetto alle dimensioni del piccolo centro, che gli era stato confermato dagli archivi di Yad Vashem, in Israele.

Le persone in questione, però, erano di Lenti, non di Altavilla. Avevano ricevuto dei documenti falsi che attestavano la loro nascita nel salernitano e così avevano sperato, per un po’, di essersi salvati. Non avevano però avuto il tempo di scappare: quando nella primavera del ’44, iniziarono le deportazioni degli ebrei ungheresi, molti di loro furono portati ad Auschwitz. La storia dei piccoli Mitzger è raccontata da Agi Berta in un articolo di Danubio on line.

Restituita la memoria agli ebrei di Lenti

A raccontare il suo ruolo nella riscoperta della vicenda alla platea di tredicenni, è stato proprio Nico Pirozzi: “Quando mi sono imbattuto per caso nei documenti degli ebrei di Lenti che figuravano come cittadini di Altavilla Silentina, avevo solo una vaga idea di dove fosse il paese e non conoscevo l’ungherese.

Nelle carte che avevo recuperato in Israele, però, venne fuori un nome che mi portava in Canada, George Tamari. Cercai su Internet tutti i Tamari risiedenti nell’Ontario canadese e chiesi notizie delle persone citate nei documenti. Mi rispose un anziano signore che era quasi spaventato del fatto che io, da Napoli, volessi riportargli in mente un orrore per cancellare il quale aveva anche cambiato nome. Mi raccontò che i due piccoli Mitzger erano suoi cugini e mi inviò una loro foto.

Poi ho incontrato la professoressa Agi Berta, che mi ha portato in Ungheria e mi ha permesso di restituire la memoria agli ebrei di Lenti, che per 70 anni sono stati dimenticati”.

Le storie dei sopravvissuti

Tante le storie che si sono succedute sul palco della palestra della scuola, insieme a quella di Misi e Titti. Storie di discriminazione, razzismo, fascismo, crudeltà infinita, perpetrata, spesso, contro i bambini, vittime innocenti dell’odio umano che ha caratterizzato gli anni delle leggi razziali.

Racconti di vite spezzate e lavori sottratti solo per essere di una religione o ‘razza’ diversa. Un percorso di ricostruzione della memoria, da parte dei testimoni sopravvissuti, durato decenni, perché la storia ha cercato di strattonare le vittime per dimenticarle e lasciare che le avvolgesse l’oblio. Invece qualcuno si è opposto, per fortuna, e quei qualcuno vanno in giro a raccontarlo nelle scuole come questa.

Un silenzio agghiacciante ha avvolto le parole di Mario De Simone, che ha raccontato la storia del suo piccolo fratello Sergio, ucciso a poco più di 7 anni nel campo di Neuengamme, in Germania, dopo aver subito terribili esperimenti, la cui storia è narrata da Titti Marrone nel libro “Meglio non sapere”.

“Da quando ho scoperto l’atroce destino di mio fratello ho deciso che questa storia non poteva rimanere a casa mia, avevo il compito morale di diffonderla, specialmente tra i ragazzi – ha detto De Simone – Ho 71 anni, fra poco non ci sarò più. È una storia che deve essere conservata da voi. Anche se solo uno di voi si ricorderà da adulto la storia sarà importante, perché potrete prendere le vostre decisioni di conseguenza. Il razzismo è un animale serpeggiante e subdolo. Bisogna studiare la storia e capire perché sono successe cose come questa”.

Tutte le storie raccontate durante la conferenza sono state portate, nei giorni successivi, dagli alunni delle terze nelle classi dei compagni più piccoli: “Molto spesso queste commemorazioni sembrano scontate – ha dichiarato la professoressa Agi Berta – Ebbene, nella scuola che hanno frequentato Titti e Misi questa commemorazione non si fa. I cittadini di Lenti, compreso il sindaco, di questa vecchia storia non ne vuole sapere.

Visto che non potevamo affidare questa storia ai cittadini del paese, ai ragazzi come voi in quella scuola, voi avete un compito: ricordare. I numeri si dimenticano, le storie personali come quelle raccontate oggi, oltre che nel cervello devono entrare nei vostri cuori e nelle vostre anime”.

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Il compito della scuola: salvaguardare la democrazia conservando la memoria

Sull’importanza del ricordo e sul dovere morale che hanno i ragazzi in tal senso si è soffermata anche Franca Levi, vice preside in pensione: “Vi si chiede di ricordare e di sviluppare una capacità critica, capire quali sono i segnali di cui avere paura. Vi si chiede di aprire occhi e orecchie e di parlare quando è il momento perché queste forme di discriminazione continuano, purtroppo, esistono anche tra di voi e non dovrebbero”.

Insiste sul punto anche la preside, Daniela Costa: “Il nostro compito, come scuola e come cittadini, è di ricordare incessantemente la storia, di perpetrare una conoscenza, in modo che la democrazia possa essere salvaguardata. La memoria va conservata ogni giorno. Siamo depositari di una storia importantissima e ogni giorno lavoriamo contro il razzismo, e ogni forma di discriminazione per l’inclusione di tutti perché la diversità è una ricchezza.

In queste occasioni ancora di più vogliamo affermare la lontananza da tutte le ideologie che portano ai totalitarismo e l’importanza della salvaguardia della democrazia”.

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In mostra i lavori dei ragazzi

Non solo parole, ma anche immagini. È terminata qualche giorno ‘L’impossibile oblio’, mostra a cura di Vittorio de Asmundis e Mariapaola Ghezzi, un’esposizione delle fotografie di Michael Kenna, nell’atrio dell’edificio, uno dei più grandi fotografi viventi, che tra il 1986 ed il 2000 è ritornato nei campi di sterminio nazisti per ritrovare “gli ambienti del terrore” e mostrarli così come erano e come sono diventati mezzo secolo dopo.

Al secondo piano, invece, va avanti fino al 20 febbraio la mostra dei lavori realizzati dagli alunni delle classi terze, che hanno partecipato al progetto di gemellaggio con la Scuola Lauder di Budapest. Nei loro disegni, il salvataggio, ad opera di italiani, di ebrei ungheresi internati nel campo di concentramento di Campagna, isola felice tra gli orrori.

Molti dei lavori realizzati sono già partiti per Budapest, per una mostra che si terrà all’inizio di maggio in una prestigiosa galleria del centro della capitale magiara.

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