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Quel che non viene perdonato alla mamma di Arturo

È successo. Si è aperto un assurdo dibattito sulla professoressa il cui figlio è stato accoltellato in via Foria. Non le viene perdonato di non incarnare il cliché della mamma napoletana disperata

Quel che non viene perdonato alla mamma di Arturo
Maria Luisa Iavarone

Sfugge al cliché

È successo. È partito a Napoli il dibattito sulla mamma di Arturo, la donna che la sera del 18 dicembre fu chiamata al telefono e trovò il figlio in fin di vita in via Foria dopo essere stato accoltellato da una banda di ragazzini (così pare). Oggi si dice baby gang.

Da quel momento, la signora – Maria Luisa Iavarone – commette il più imperdonabile degli errori. Sfugge al cliché. Al cliché della mamma – per giunta napoletana – cui hanno quasi ucciso il figlio. La professoressa Iavarone (insegna Pedagogia all’Università) non piange. O comunque non lo fa in pubblico. Non si dispera. Non chiama mai in causa San Gennaro. Non sbaglia manco per distrazione un congiuntivo. E che miseria, eppure le hanno quasi ucciso il figlio!

Anni e anni in cui la tv accende la camera su Napoli solo e soltanto per intervistare chi stenta con l’italiano, e poi arriva lei a rovinare tutto. Per giunta, si presenta bene, non va in uno studio televisivo senza messa in piega, ha un eloquio forbito, dispensa termini come “orrorifico” in prima serata, e invece di dire “decidiamo di andare in ospedale” osa proferire “si risolve ad accompagnare Arturo in ospedale”. È pure una bella donna. Orrore.

In principio fu Facebook

Anche la madre di Arturo può commettere errori o leggerezze. Perché, forse lo abbiamo dimenticato, alla madre di Arturo hanno quasi ammazzato il figlio. Figlio che probabilmente porterà per tutta la vita i segni fisici e psicologici di quell’aggressione tanto gratuita quanto feroce. Insomma, fino a prova contraria, la vittima in questa storia è Arturo. È principalmente Arturo.

Il “primo attacco” alla madre di Arturo lo leggemmo una ventina di giorni su Facebook. Lo status di una giornalista – non facciamo il nome, perché non sappiamo se voglia essere coinvolta in questa discussione. Status molto interessante, soprattutto per la discussione che alimentò. Dimostrò che il tema era molto sentito. Osservazioni a dir poco  critiche (è un eufemismo) nei confronti dell’atteggiamento della mamma di Arturo e anche del pensiero – che potremmo sintetizzare come classista – della professoressa. Al fondo, trovammo nei commenti anche tanto livore femminile. Oltre ad allusioni sulla prossima candidatura della signora, che poi non c’è mai stata. La discussione coinvolse giornaliste, attiviste politiche, magistrati e altri. Alcuni furono impietosi nei confronti della mamma di Arturo, quasi da brividi.   

Nicola Quatrano

Il “secondo attacco” è arrivato dal giudice Nicola Quatrano (partecipò a quello status su Facebook) che sul Corriere del Mezzogiorno ha criticato la puntata dell’altra sera del programma “Piazza Pulita” e non ha escluso dalle sue osservazioni la mamma di Arturo rea di aver partecipato a una “aggressione mediatica” alla madre del “nano” accusato di aver partecipato all’accoltellamento di Arturo. Ragazzino che si professa innocente. Ecco un passaggio del brano di Quatrano:

Una distanza abissale sul piano sociale e culturale separa le due donne, segnalata dal profluvio di parole bene usate (compreso il latinorum delle  “valutazioni antropometriche”) che la professoressa riversa addosso all’altra per vincere facile. Ed è facile vincere, facile perfino umiliarla e ridurla al silenzio. Basta ricordarle che ha un fratello in carcere e che dunque la sua famiglia non è per bene come quella della professoressa. La mamma del “nano” non può tenerle testa, fa del suo meglio, ma confonde congiuntivi e condizionali e, quel che è peggio, tenta di sostenere la tesi dell’innocenza di un figlio che la professoressa (e i giornali e le televisioni dalla stessa ossessivamente frequentati nei giorni scorsi) hanno già condannato.   

(All’articolo, Il Mattino ha risposto con questo editoriale in cui il Corrmezz non viene mai citato. E oggi il direttore Enzo d’Errico polemizza col quotidiano di via Chiatamone).

Tornando al caso, effettivamente la madre del “nano” (perdonateci, il ragazzino è noto con questo soprannome) ne esce mortificata dal servizio tv. Anche se è sempre dignitosa nella sua difesa. Diamo per buono che sia stata una “aggressione mediatica”. Così come, va ricordato, può anche essere che il figlio abbia accoltellato quasi a morte Arturo.

A lei non si perdona nulla

Ed eccoci al punto. C’è chi non perdona nulla alla madre di Arturo (e non sono pochi). A una signora cui hanno quasi ammazzato il figlio. E sì, nessuno degli aggressori è stato condannato. È vero. Tutti hanno diritto a un giusto processo. È vero. Bisogna interrogarsi e soprattutto rendersi conto che senza un reale coinvolgimento sociale, molti ragazzi ben presto diventano irrecuperabili. Con Gomorra o senza Gomorra. È vero. Del resto, la mamma di Arturo queste cose le sa, insegna pedagogia, e l’abbiamo vista anche immortalata in una fotografia col maestro di strada Cesare Moreno.

Non impietosisce né le interessa farlo

C’è però anche altro. La mamma di Arturo infastidisce una parte di noi perché non deroga da sé stessa. Se la signora, invece di esibire virtuosismi dialettici, fosse entrata nelle nostre case piangendo al momento giusto, vestita in modo più sciatto, certamente questo dibattito – ai nostri occhi assurdo – non sarebbe mai nato. Invertendo i ruoli, la mamma di Arturo incarna il nero stronzo da sempre agognato da Spike Lee.

È una donna che ha quasi perso il figlio e che combatte la sua battaglia senza calarsi nel personaggio che avrebbe bucato lo schermo. Non impietosisce né le interessa farlo. Non cerca il consenso, o comunque non lo cerca come piacerebbe a tanti. Magari, non ce ne voglia la professoressa (e ci scusi), per qualcuno lo fa da stronza. Non per questo, i figli delle stronze possono essere accoltellati per strada in via Foria e lasciati in una pozza di sangue solo perché non incarnano il modello che ci siamo prefigurati per loro.

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