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“Il magistrato con la cultura del buono pasto”, Woodcock e l’autocoscienza della categoria

Bella serata con de Magistris ed Enrico Mentana per presentare il libro di Cantone sulla corruzione. Ne è emersa una forte autocritica, fino a parlare di “questione morale della magistratura”

“Il magistrato con la cultura del buono pasto”, Woodcock e l’autocoscienza della categoria
John Woodcock, il sindaco de Magistris, Enrico Mentana

La corruzione spuzza

Metti insieme, a pochi centimetri di distanza, John Woodcock, Raffaele Cantone e Luigi de Magistris. «Non era mai successo», dice il sindaco al moderatore Enrico Mentana. E non era mai successo che in prima fila ci fossero anche, tra gli altri, Franco Roberti e Nunzio Fragliasso che ha determinato con una sua nota l’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti di Woodcock per quel che riguarda il caso Consip. Il tema, però, non era la Consip. E nemmeno la frase detta in mattinata dal procuratore generale all’inaugurazione dell’anno giudiziario: «A Napoli l’egemonia culturale è in mano ai delinquenti». Bensì la presentazione del libro di Raffaele Cantone numero uno dell’Anac – autorità anticorruzione – libro intitolato: «La corruzione spuzza» in omaggio alle parole di Papa Francesco in visita a Scampia.

Due pesi e due misure dei magistrati

Sono affollate le due sale di Palazzo San Teodoro alla Riviera di Chiaia (c’è anche il questore De Jesu e tanti altri, c’erano persino Emilio Fede e Ferlaino) nell’ambito dell’iniziativa “Un libro in salotto” organizzata dalla giornalista Rossana Russo. Una serata affatto banale, con momenti tanto intensi quanto inattesi. Il canovaccio è la sottovalutazione del fenomeno della corruzione, soprattutto dal punto di vista sociale. Woodcock dà vita a una forte autocritica della categoria, si vira quasi nello  sconforto. «Di 266 indagini per corruzioni, ne giungono alla fine molto poche e il molto poche è più vicino a tre che a trenta».

Definisce «di grande inciviltà il comportamento di magistrati che assumono un diverso atteggiamento a seconda dell’imputato che hanno davanti: quelli che possiamo definire di mezzo alla strada, e i professionisti accusati di corruzione. In caso di corruzione, quella che per semplificare definisco reazione borghese è molto più virulenta».

La questione morale della magistratura

Woodcock incalza: «la questione morale nella magistratura è seria». Una frase forte, che fa calare il gelo in sala. Frase che avrà modo di chiarire nel corso della serata, in parte correggendola. Il riferimento non è alla questione morale intesa esclusivamente come corruzione, è un concetto più ampio. Woodcock ricorda il suo ingresso in magistratura e «l’odore della libertà che si respirava entrando a Palazzo di giustizia. Non so se oggi lo respiro ancora. Avevo, avevamo 26 anni. Oggi diventano magistrati a quarant’anni, spesso hanno avuto altre esperienze, sono già intrisi di burocrazia, hanno la cultura del buono pasto. Una magistratura burocraticizzata e appesantita dalla paura di sbagliare. Parlo di una questione morale legata alla rassegnazione, alla acquiescenza, all’apatia, più che al denaro». Questione morale della giustizia, chiude il cerchio Mentana. Ma a colpire è soprattutto le sensazioni che regalano le parole di Woodcock.

Una rivoluzione culturale

De Magistris ricorda ovviamente il suo passato in magistratura, il suo aver abbandonato la toga sei giorni che maturasse il minimo per la pensione (rivela che la moglie glielo rinfaccia sempre), denuncia l’eccesso di norme che esistono in Italia, la cavillosità contro cui si scontra quotidianamente da primo cittadino. Esordisce dicendo: «Sono contento di essere stasera con due magistrati perbene, sembra scontato ma non lo è». Anche lui parla di tensione morale che non c’è più. «Serve una rivoluzione culturale, bisogna cambiare i lavori che sono alla base della nostra società. Se sono la furbizia, il denaro, il potere, avremo sempre corruzione. Se ci battessimo per valori quali la lealtà, l’onestà, le cose cambierebbero. Chi fa il magistrato, deve sentirsi addosso che non è un lavoro come un altro, serve coraggio, umiltà. Quando ho cominciato, pensavo che la magistratura fosse come mio padre. Poi mi sono reso conto che non era così, ma in tanti abbiamo denunciato delle storture. Bisogna mettersi in gioco».

Clima da confessionale

C’è uno strano clima, è come se fosse un confessionale. Probabilmente nemmeno Mentana avrebbe immaginato una simile serata. Non ha bisogno di sollecitare i tre protagonisti.

Visto il clima, Cantone prova a cambiare registro e a smarcarsi dal pessimismo dei suoi due interlocutori. «Non dobbiamo dimenticare che in passato abbiamo avuto processi, come quello Enimont, in cui erano coinvolti pezzi importanti di Stato. Questi processi oggi non ci sono più. Ma servono anche modifiche normative. Basti pensare all’abuso d’ufficio, c’è uno iato enorme tra l’iscrizione nel registro per questo reato e la condanna. Le leggi che regolano l’abuso d’ufficio andranno modificate».

Lo stesso Cantone riconosce che «dopo Tangentopoli abbiamo voluto credere di aver eliminato la corruzione. Anche oggi c’è un sistema di finanziamento dei partiti attraverso le associazioni, le fondazioni, ma nessuno controlla, mettiamo la testa sotto la sabbia».

La magistratura non può risolvere i problemi

Cantone prova ad allargare la visuale. La corruzione non può essere un problema della magistratura: «Non è nostro compito risolvere i problemi, la magistratura deve far svolgere il più velocemente possibile i processi. Non dev’esserci una magistratura migliore della società civile. C’è un’attesa messianica nei confronti della magistratura». Woodcock concorda: «L’idea del pubblico ministero come eroe senza peccati e macchie è un’idea affascinante ma insidiosa, ci allontana dalla giurisdizione».

Cantone prosegue: «All’Anticorruzione abbiamo incontrato il mio omologo svedese. Gli ho chiesto cosa avessero fatto per avere così poca corruzione. Lui mi ha risposto: “Niente. Solo Trasparenza, trasparenza, trasparenza”. Lì è il sistema di valori che è diverso». Cantone ricorda un aneddoto raccontato da Gherardo Colombo del pool Mani Pulite. «Anni dopo Tangentopoli, incontrò in aereo uno degli imputati che gli chiese: “secondo lei, quanto della corruzione di allora siete riusciti a scoprire?” Il 40% rispose lui. “Non siete arrivati nemmeno al 20%”».

«Chi si vende una volta, si venderà sempre»

Tutti e tre sottolineano come le indagini per corruzione nascano sempre per caso, mai da denunce, dalle vicende le più disparate da cui poi emerge un sistema di corruttele. Woodcock, a differenza di Cantone, parla di una corruzione sempre più estesa, sistemica. «È il reato seriale per eccellenza, perché chi si vende una volta, si venderà sempre e si venderà sempre a meno». E ribatte sul tasto dell’autocritica: «Se i processi non si fanno, è anche per colpa nostra. Ci sono tante pressioni. E poi c’è il doppio binario che favorisce i procedimenti relativi alla criminalità organizzata». I reati contro la pubblica amministrazione viaggiano a bassa velocità.

Burocrazia

Resta il capitolo burocrazia. Interessante ma superato in una serata come questa. Cantone denuncia l’eccesso di burocrazia nella politica, la fobia della firma. «Si è arrivati all’assurdo che la decisione migliore è quella presa da un altro, perché ci sgrava da ogni responsabilità. La politica deve tornare ad assumersi le proprie responsabilità». De Magistris ricorda come «ci vogliano giorni e giorni per interpretare le norme e capire come comportarsi. Oggi nessun dirigente vuole firmare nulla, sono terrorizzati dalla Procura generale della Corte dei Conti».

Mentana e il paradosso di Napoli

Tralasciamo le stoccate di de Magistris al Csm, che pure meriterebbero. La serata si chiude con le domande del pubblico. Mentana viene colpito da una signora che denuncia il far west a Chiaia, a pochi metri da qui, e conclude evidenziando quello che considera un paradosso: «Tanti napoletani fanno parte dell’ossatura dello Stato, occupano posizioni di vertice, eppure la loro città viene descritta come un far west». Poi una frase che qualcuno  ha interpretato come un riferimento a Gomorra: «Prendete il toro per le corna e ribaltate l’immagine che Napoli dà di sé, altrimenti tutto sarà inutile e continueremo ad assistere al più clamoroso harakiri che una comunità abbia mai fatto». E mentre si chiude il sipario, Woodcock aggiunge: «Sì, però siamo simpatici».

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