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Burgnich, Meazza e il calcio-nostalgia: già nel 1976 non esistevano «i giovani di una volta»

La nostra mistificazione del passato è una storia già vecchia: già negli anni Settanta «i giovani non sapevano soffrire come i calciatori di un tempo». Il loop della nostalgia, in un pezzo di Angelo Carotenuto.

Burgnich, Meazza e il calcio-nostalgia: già nel 1976 non esistevano «i giovani di una volta»

Una riflesione

La memoria, la nostalgia e il nostalgismo. Si tratta di sentimenti contigui ma non necessariamente consecutivi, anche perché la mistificazione del passato è uno sport così semplice da risultare banale. La conferma arriva dal lavoro di ricerca e archivio di Angelo Carotenuto, caporedattore sport di Repubblica. Che, sul suo blog, pubblica una riflessione intelligente sul tema dei giovani nel calcio italiano – e nel calcio in generale.

Qui l’articolo completo, noi vogliamo riportare solo qualche parte. Tipo questa: «Tarcisio Burgnich – nel 1976 – dice che i giovani degli anni ’70 non sapevano soffrire. A occhio e croce sono esattamente quei giovani che oggi vengono indicati dagli ex campioni degli anni ’70 come modello ai ragazzi contemporanei, i quali ovviamente a loro volta non sanno più soffrire come allora».

Ieri, oggi, domani

Carotenuto scrive che «i viaggi negli archivi sono istruttivi». Ecco, questa è una lettura del passato con una chiave costruttiva. Nelle parole di Burgnich, riportate all’interno del pezzo, c’è un attacco alle «mediazioni nel calciomercato», ovvero i procuratori di oggi. Le stesse considerazioni – anche queste presenti nel pezzo di Carotenuto – furono espresse da Giuseppe Meazza nel 1958. All’indomani della prima, storica eliminazione dell’Italia dai Mondiali.

Insomma, il calcio va sempre in loop e il nostalgismo serve a poco. Anche perché è un sentimento che si rinnova pur non cambiando mai. L’Italia calcistica di oggi ha effettivamente un problema con i giovani, anzi con la ricezione e la narrativa dei giovani. Ne abbiamo scritto anche noi, recentemente (qui). Ma la vita e la carriera degli interpreti di questo gioco, di questo sport-business, cambiano continuamente, si adeguano, si aggiornano, sono uno specchio della mutevolezza. Il rimpianto per quello che è stato è pura autoflagellazione nostalgica. Non tanto rispetto al calcio che è cambiato, ma rispetto a noi stessi. Che volevamo restare fermi, bloccando il tempo. Ma non abbiamo potuto. La frase finale di Carotenuto la facciamo nostra: «Non ci sono mai i giovani di una volta. Perché quei giovani che rimpiangiamo eravamo noi». Oggi è un mondo diverso, e quindi avrà padroni diversi. Inevitabile.

 

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