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Da Londra a Testaccio, per amore della cucina: «Amo i vostri odori e vi invidio le mense scolastiche»

Intervista a Rachel Roddy la foodwriter del Guardian che scrive di cucina italiana. «Qui fare la spesa è un’esperienza culturale». Venerdì sarà premiata a Napoli

Da Londra a Testaccio, per amore della cucina: «Amo i vostri odori e vi invidio le mense scolastiche»
Rachel Roddy fa la spesa al mercato di Testaccio

Rachel Roddy

Rachel Roddy, professione foodwriter. Inglese di nascita, italiana d’adozione. Vive a Roma da 13 anni. «Vivo a Testaccio – precisa – perché Testaccio è un mondo a parte»

Rachel racconta la cucina italiana ogni settimana sulle pagine del Guardian Cook e sarà a Napoli venerdì sera per ricevere il Premio internazionale alla diffusione della cultura alimentare mediterranea nella serata inaugurale della manifestazione “Cibo a regola d’arte”.

Tra il suo italiano, perfetto ma timido, e il mio inglese, che lei definisce ottimo, ci ritroviamo subito a parlare di cibo, spesa e della nostra passione per il mercato di Testaccio, perché il food descritto da Rachel nel suo blog e per il Guardian non è quello delle grandi ricette stellate, ma quello di tutti i giorni che si prepara nelle cucine di tutte le case per figli, mariti ed amici.

«Sono qui da 13 anni. Ho sempre scritto e cucinato anche quando ero a Londra perché la mia mamma era una brava cuoca e avevamo un piccolo orto. Mangiavamo le nostre verdure. Quindi posso dire che la cultura del cibo è un’eredità familiare. Ma sono sempre stata affascinata dalle storie della vostra cucina. Forse anche in modo troppo romantico, come tutti gli inglesi. Adoro gli uomini che cucinano, non a caso mio marito è un bravo cuoco. Uno dei miei libri preferiti è quello di Massimo Montanari, non ricordo come si traduce in italiano (“Il riposo della polpetta e altre storie”) che parla di cibo e non solo. Di cibo, cucina, filosofia, storia e geografia, quando parli di un piatto c’è tutta la storia del mondo in un piatto. Mi piace che scrivere di cibo faccia emergere tutto».

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Sei venuta in Italia per la cucina quindi?

«Sono venuta per scrivere. Io non parlavo l’italiano ma quando chiedi alle persone di cucinare insieme non importa la lingua o la cultura. Ci si capisce sempre. Diventa un’esperienza semplice e intima, c’è sempre una storia che emerge. Le storie che mi interessano di più sono quelle che vengono fuori così, spontaneamente, le storie quotidiane. Sono stata fortunata perché ho sempre trovato persone disposte a raccontarmi le proprie ricette e cucinare con me».

Adesso scrivi una rubrica sulla cucina italiana per il Guardian.

«Sì, ho una rubrica settimanale. Ma ho cominciato a scrivere sul mio blog, che adesso vorrei cancellare, perché amavo il cibo e soprattutto la letteratura di cibo. In Inghilterra non abbiamo la cultura del cibo e perciò leggiamo tanti libri di cucina senza però metterli in pratica.

La differenza tra il cibo inglese e quello italiano?

«Non si tratta di differenze di cibo o ricette, in Inghilterra abbiamo un senso diverso della comunità (specialmente riguardo al cibo). Qui non ho bisogno di andare al supermercato per fare la spesa, posso andare al mercato con altre persone, avere un rapporto con le persone che ti spiegano, ti raccontano cosa c’è sui banchi, mentre al supermercato metti la verdura nella busta, pesi e te ne vai. Qui il cibo è parte della vita. Abito sopra un forno e il primo profumo al mattino è quello della pizza bianca insieme al curry del portiere del Bangladesh. Ovunque ti giri è tutto un mondo di odori. La cucina inglese e quella italiana non sono poi così diverse in tutto. La mia nonna aveva un pub a Manchester e cucinava i panini di lingua e una zuppa di coda, quando sono arrivata a Roma ho trovato una somiglianza incredibile con questi piatti della mia nonna. E anche il fish and chips assomiglia al baccalà fritto»

La tua famiglia è di Manchester. Il Napoli affronta il City per la Champions in questo periodo.

«Davvero? Mio padre è un grande tifoso del Manchester City, in realtà tutta la mia famiglia lo è»

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Il premio che ricevi è per la diffusione della cucina mediterranea, ma nel tuo ultimo libro ti sei fermata solo a Roma e alla Sicilia.

«Vivo a Roma e mio marito Vincenzo è siciliano, ho preferito mantenermi in ambiti ristretti. Conosco anche la cucina napoletana e mi piace tantissimo, in realtà scrivo solo del mio quartiere qui e di Gela in Sicilia, perché sarebbe troppo vasto e ci sarebbero milioni di storie da scrivere ma la mia quotidianità è qui e sono queste le storie che cerco»

Progetti?

«Adesso ho un figlio Luca e sono molto colpita dalla mensa scolastica qui in Italia, mi piacerebbe approfondire. Loro mangiano bene a scuola mentre in Inghilterra se vai in scuole super costose ci sono pasti eccellenti e persino bio, altrimenti è un disastro. Qui hanno i carciofi a scuola, un bambino inglese non lo ha mai visto un carciofo a mensa. Negli anni ’70, quando andavo a scuola io, non era così, il cibo non era buono ma sano. Oggi purtroppo si trova spesso cibo privo di anima e nutrimento».

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