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Gianni Fiorito: «Mi nascosi in Aula per fotografare Raffaele Cutolo con Immacolata Iacone»

«Gli appostamenti a Ottaviano. Poi quella incredibile mattinata in tribunale. Anni dopo Cutolo mi disse: “Ti sei fatto i soldi eh”. Il cinema non può mai darti l’adrenalina del fotogiornalismo»

Gianni Fiorito: «Mi nascosi in Aula per fotografare Raffaele Cutolo con Immacolata Iacone»
NAPOLI,09/02/1983 - TRIBUNALE DI CASTELCAPUANO, PRIMO INCONTRO FRA IMMACOLATA IACONE E RAFFAELE CUTOLO DURANTE IL PROCESSO ALLA NCO. PH. GIANNI FIORITO N°124

Il racconto della storica fotografia

Quando chiamo Gianni, si trova sul set di un film nella fase di riprese serali che si protrarranno fino a notte fonda, rimandiamo l’intervista a due giorni dopo. Sui set cinematografici, come nella cronaca, non esistono orari.

Gianni Fiorito ha lunghissima esperienza fotogiornalistica. È stato il primo fotografo di Repubblica Napoli, oggi è un pluripremiato fotografo di scena cinematografico. Ci sentiamo a mezza mattinata e immediatamente gli chiedo:

Come nasce questa foto?

Era da tempo che lavoravo a questo servizio. Avevamo saputo del fidanzamento del boss, allora capo indiscusso della camorra napoletana, Raffaele Cutolo, con una giovane donna. Per circa un mese andavo quotidianamente a Ottaviano. Appostandomi nei pressi della casa di Cutolo, capii che la donna accudiva la madre del boss e ogni mattina usciva dalla casa per far ritorno a quella dei familiari. Cercavo di fotografarla nel percorso che divideva i due alloggi, ma per varie ragioni non ebbi mai l’occasione di poterlo fare. Una sola volta fui sul punto di immortalarla, ma una Apecar si frappose tra la donna, Immacolata Iacone e la mia auto. In quel momento, preso dalla rabbia, scesi dall’auto e feci per inseguire la fidanzata di Cutolo. Fortunatamente con me c’era un collega che mi fermò. A quel punto, mi resi conto del rischio che avevo scorso e decisi insieme al collega di scappare da Ottaviano.

I PRIMI APPOSTAMENTI, A OTTAVIANO

Quindi è una foto che parte da lontanissimo nella ricerca. E, a quanto pare, hai dovuto rinunciarvi per evidenti ragioni di sicurezza, visto che probabilmente ti avevano visto e identificato come fotografo.

Sì. Questo è l’antefatto. Poi tutto ha avuto sviluppo il 9 ottobre del 1983 ad una udienza di un processo a Raffaele Cutolo nel tribunale di Napoli. Udienza che io e altri colleghi presenziammo. Era prevista la presenza dell’imputato, quindi eravamo tutti concentrati su Cutolo. Aspettavamo nel cortile del tribunale e all’improvviso si materializzò la fidanzata Immacolata Iacone. Nessuno sapeva chi fosse, solo io conoscevo il suo volto. Nessuno dei colleghi fece caso alla donna che si accingeva a passare sotto il metal detector per la perquisizione. Avvisai della sua presenza il mio caro amico, collega e maestro Francesco Jovane (Ciccio, mitico fotogiornalista Napoletano fondatore di AlfaPress, uno dei primi fotografi ad essere presente a Chernobyl e al primo terremoto ad Haiti e autore di innumerevoli scoop internazionali, inviato del settimanale Oggi, è stato il primo a fotografare il figlio di Diego Armando Maradona, immediatamente dopo il parto, ndr) e mi preparai a fotografarla.

Ciccio mi fermò, dicendomi che avrei fatto capire agli altri colleghi chi fosse quella donna, per cui sarebbe stato meglio fotografarla dopo, in aula, casomai senza farsene accorgere. Tanto sarebbe dovuta rimanere al di là delle transenne, anonimamente confusa tra il pubblico che cominciava ad essere molto numeroso. Accolsi questa strategia e cominciai a studiare dove i movimenti della Iacone. Quando, all’improvviso, un solerte  maresciallo dei carabinieri, rivolto ai fotografi, ai cameramen e ai giornalisti pronunciò le parole che non avrei mai voluto sentire: “signori, fate attenzione, perché sta arrivando la fidanzata di Cutolo” .

Incredibile, neanche fosse un ballo di entrata in società, non rispettando nemmeno la privacy della persona. Oggi sarebbe impensabile. Ti si gelò il sangue, immagino. 

Di più. Un mese di appostamenti, conoscere il volto della Iacone, averla individuata nel caos del tribunale, aver aspettato per  fotografarla durante la perquisizione. Tutto al vento a causa del solerte maresciallo.

LA STRATEGIA IN TRIBUNALE

Poi come riusciti a scattare la foto?

Fortuna volle che la signora Iacone, che poi sarebbe diventata signora Cutolo, sentisse anch’ella la presentazione del maresciallo e un attimo prima dell’assalto degli operatori si coprisse il volto con un foulard. Nel frattempo, in pochi secondi, io elaborai una nuova strategia per riuscire ad essere l’unico a riprenderla. Non provai nemmeno a fotografare in quel caos, cambiai obiettivo alla mia Nikon, da grandangolo 24mm passai al tele 200mm.

Con piglio arrabbiato lasciai la mia borsa fotografica a Ciccio Jovane che mi guardò e mi chiese perché non stessi scattando e perché gli lasciassi la borsa. Non ricevette risposta, se non uno sguardo imperativo per farmi assecondare senza discussione. Nascosi la macchina e l’obiettivo sotto il giubbotto chiudendolo fino al collo ed entrai in aula. Pensai che tutto quel caos avrebbe causato l’effetto dell’allontanamento dall’aula degli operatori, e cosi fu! Il Presidente, battendo furiosamente il martelletto, disse ai carabinieri di allontanare i fotografi dall’aula. I carabinieri eseguirono subito, chiusero le porte e impedirono l’entrata a qualsiasi operatore dell’informazione. Io invece ero già dentro, in incognito e da solo!

LO SGUARDO DEI COLLEGHI

Confuso tra il pubblico, nessuno fece caso a te?

Nessuno. Anzi, ebbi la possibilità di accomodarmi di fianco alla madre di Immacolata Iacone, forse anche sbagliando visto che avevo una ottica lunga e non un grandangolo, ma avevo con me la pazienza di un mese di lavoro accumulato senza aver potuto fare alcuna foto alla signora. La Iacone, come immaginavo, si mise di fianco alla madre incontrando con gli occhi il suo futuro marito che era all’interno della gabbia. Era ad un metro da me, io non mi muovevo dal posto facendo intendere di essere uno spettatore, quando si materializzò il solerte maresciallo che – dopo aver allontanato i fotografi dall’aula – si avvicinò prima alla gabbia dove c’era Cutolo, poi di seguito alla Iacone invitandola a salutare da vicino il suo fidanzato.

Molto gentilmente le aprì il cancelletto della balaustra e l’accompagnò dal suo futuro marito. Aspettando sempre il momento più propizio, cominciai a sbottonare il giubbotto e a preparare la macchina. Quando la Iacone si avvicinò alla gabbia e a Cutolo, cominciai a scattare. Una, due, tre flashate che Cutolo notò. Si girò verso di me insieme alla Iacone. Feci l’ultimo scatto, poi con molta calma riposi la macchina sotto il giubbotto e uscii dall’aula prima che ne venissi allontanato e casomai mi fosse sequestrato il rullino.

Cosa successe fuori dall’aula?

Trovai lo sguardo sorpreso e allibito di tutti i colleghi  che erano stati allontanati a forza dall’aula. Il più pronto a reagire, avendo capito tutto, fu il caro Ciccio Jovane che a voce alta mi chiese: “Gianni, hai fatto?” e di rimando risposi: “Sì certo Ciccio, tutto a posto, possiamo andare” e nel più assoluto silenzio, nostro e di tutti, ci avviammo all’uscita del tribunale, inseguiti dagli sguardi dei colleghi increduli.

Di fatto, in pochi secondi sei riuscito a capovolgere una situazione che stava prendendo una piega ben diversa. Sei passato dall’indagine per uno scoop al vedere vanificato un mese di appostamenti ed una informazione esclusiva che avevi, ma anche con queste premesse non hai perso sangue freddo e la scaltrezza necessarie per organizzare una strategia vincente. Vincente prima di tutto perché sei riuscito a prevedere ciò che sarebbe successo nell’aula con quel caos incontrollabile se non con l’allontanamento dei fotografi. Poi sei riuscito a rimanere calmo e paziente quando si è trattato di essere faccia a faccia con l’evento, ma hai aspettato il momento per te migliore.

L’ESCLUSIVA

Dopo queste considerazioni, dimmi cosa è successo poi con queste foto. Cosa ne avete fatto?

Semplice, (Gianni ride al telefono) lo stesso giorno sono state vendute in esclusiva nazionale per i quotidiani. Al Mattino di Napoli ad una cifra che per i tempi era veramente alta, con l’obbligo di pubblicazione in prima pagina e la firma. Poi la vendemmo in esclusiva nazionale al settimanale Oggi con le stesse modalità e ovviamente furono vendute in tutto il mondo. Al tempo Cutolo era il capo indiscusso della Camorra napoletana, quindi tutti si interessavano al caso.

Ci furono conseguenze per queste foto diciamo “rubate” in una aula di tribunale?

No, lavorativamente nessuno, a parte due colleghi che mi tolsero il saluto per cinque anni. Ma neanche di sicurezza. Solo un paio di anni dopo, Cutolo, vedendomi in un aula di tribunale per fotografarlo, mi chiese di avvicinarmi alla gabbia e mi disse con un mezzo sorriso sulle labbra: “Ti stai facendo un sacco di soldi con quella foto”. Cutolo ha sempre capito e usato i media e la comunicazione, capendola e non poche volte usandola.

LA DIFFERENZA TRA IL CINEMA E LA CRONACA

Oggi sei tra i fotografi di scena al cinema tra i più apprezzati e ricercati, ti è servito il bagaglio di esperienza che hai accumulato in tanti anni di fotogiornalismo praticato in Italia e all’estero?

Tantissimo, veramente tantissimo, nel senso che il mio approccio sui set è proprio lo stesso che avevo nei vari teatri di cronaca che ho affrontato negli anni precedenti. Soprattutto da un punto di vista dell’immagine, lavorare su un set vuol dire tradurre in una immagine una azione scenica dove c’è la recitazione, il movimento della macchina e il tempo di ripresa. Io devo sintetizzare tutto in un unico scatto, senza poter avere il sussidio della parola. In questo, l’essere stato fotogiornalista, e quindi essere stato abituato a sintetizzare in una unica foto la storia che hai davanti, si è rivelata una palestra fondamentale. La mia capacità di sintesi è dovuta proprio a questo mio passato di fotogiornalista. In questo caso la scena è finta, ma è sempre una scena e quindi è in tutti i casi reale, accade.

Grazie Gianni per questo racconto e per ciò che ci hai detto. Io, come sempre da avvocato del diavolo, ti chiedo: quanto ti manca l’adrenalina che si produce scattando una foto come questa che vediamo ora rispetto a quelle prodotte sui set?

Quella adrenalina non te la può restituire nessuno. L’adrenalina che ti dà il mestiere di fotogiornalista, quella che produci di fronte alle situazioni che ti trovi davanti, situazioni estreme, complicate, dove non sai mai cosa possa succedere un attimo dopo, così come la ricerca della foto, il fatto che dopo averla lavorata al volo devi correre per trasmetterla perché c’è qualcuno che l’attende a migliaia di chilometri di distanza. Questa è una forza e un dispensatore di energia pazzesca. È come dici tu: un valore aggiunto. Invece oggi, nel mio caso cinematografico, in questa mia nuova realtà, funziona al contrario. Nel senso che l’aver raggiunto e assaporato le vette massime dell’adrenalina e di stress, fa sì che io sul set sia la persona più serafica e tranquilla tra i presenti.

Non mi scuote nulla, in un ambiente molto nervoso, che deve essere sempre sul pezzo, dove tutto deve essere precisamente e scrupolosamente organizzato. Non può scuotermi questo tipo di stress, perché so bene che se casomai dovesse andare male una scena c’è sempre la possibilità di ripeterla.

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