ilNapolista

Bravi Chiriches, Diawara e Zielinski: il compromesso di Sarri col turn-over

Tre cambi, la sensazione che il tra il turn over scientifico da sei cambi a partita e l’integralismo dei titolarissimi possa esserci una (proficua) terza via.

Bravi Chiriches, Diawara e Zielinski: il compromesso di Sarri col turn-over

Tre cambi

Sarri ha mentito. Aveva detto due cambi, invece ne ha fatti tre: Chiriches, Diawara e Zielinski. È il suo modo di fare, di approcciare alle turnazioni. Può piacere o non piacere, essere o meno soddisfacente. Anzi, considerando l’idiosincrasia del tecnico per il turn over, è già un buonissimo punto di partenza. E consideriamo l’assenza di Milik, che praticamente priva il Napoli di un’alternativa non solo nel ruolo di centravanti, ma anche nel ruolo di esterno sinistro (Mertens non può essere spostato, a questo punto). Anche se, alla fine, contano i risultati.

Poi leggiamo, nell’analisi tattica di Genoa-Napoli, che i tre innesti sono stati tra i migliori in campo dal punto di vista statistico. Certo, poi ci sono le sensazioni e allora nessuno è meglio di Mertens. Però, se riavvolgi il nastro della partita, ti ritrovi uno Zielinski presente nel vivo del gioco. Non decisivo, ma comunque un hub attraverso cui il Napoli ha fatto viaggiare molti palloni; poi pensi a Diawara, che è altro da Jorginho, eppure conta un assist determinante per il risultato e una prestazione di sostanza a centrocampo; poi trovi Chiriches, che dà sempre l’impressione di essere in ritardo o mal posizionato e poi invece recupera con la comprensione preventiva del gioco, con una capacità importante di posizionarsi sulle linee di corsa dell’avversario. C’è una lettura non proprio perfetta in occasione del gol di Taarabt, ma in quel caso l’intera linea è andata letteralmente in crash. Sono sensazioni, ma anche statistiche. Come detto, le trovate nell’analisi tattica (ultimo paragrafo).

Cosa significa

Il Napoli è andato a Genova, ha cambiato tre uomini ed ha vinto. Ha rischiato, ma praticamente nello stesso modo in cui ha rischiato contro Spal, Lazio, Atalanta. È andato sotto, ha recuperato la partita – dominandola per alcuni tratti – e poi ha sofferto uno o due momenti di amnesia. Nel postpartita, Sarri ha spiegato di essere soddisfatto di quanto mostrato dalla sua squadra, dal punto di vista tecnico e tattico. Nonostante i tre cambi, questo non l’ha detto ma l’aggiungiamo noi.

Chiariamoci: non è una critica a Sarri, al suo modo di approcciare il turn over. Ma di certo non si può dire che sia un amante delle turnazioni scientifiche. Partendo da questo, si potrebbe apprezzare lo sforzo, che poi è conforme al suo pensiero. Ingressi ragionati, due-tre cambi a partita per non smarrire l’identità di gioco. È andata così con Manchester City, Inter e Genoa dopo la Roma. Due cambi per partita, con i titolarissimi in campo contro giallorossi e nerazzurri e Zielinski e Diawara contro gli inglesi. Poi ieri è entrato Chiriches. Mancano all’appello Maksimovic, Maggio, Ounas e Mario Rui, perché Rog è sempre subentrato e Giaccherini è ormai (da sempre) fuori dalle rotazioni dei titolari.

Il Napoli fa un turn over basico, che rispetta l’idea di non masturbarsi con i cambi. Forse è il compromesso tra quello che il mondo chiede o chiederebbe (ma che espone al pubblico ludibrio in caso di passo falso. Ricordate Benitez?) e la reticenza ideologica di Sarri. Che è uno da meccanismi ripetuti, che spesso critica la bulimia del calendario perché “non può allenare la squadra”. Fosse per lui, in campo sempre gli stessi per fare upgrade tattico ogni partita. Solo che non si può.

Il compromesso

E allora, ecco il compromesso. A Genova ha funzionato. L’ideale, alla lunga, sarebbe allargare ancora la varietà di scelta, non fosse altro che per salvaguardare il più possibile chi ha giocato di più. Ghoulam, Koulibaly, Callejon e Insigne, che hanno sempre giocato titolari. Poi ci sarebbe Hamsik, che però obbliga a un discorso e a una gestione diversi. Ecco, inserire Mario Rui, Maksimovic e Ounas (più Rog) nell’idea di turnazione iniziale potrebbe aprire nuovi spiragli. Non dovrebbe condurre per forza alla rivoluzione totale, quella da sei cambi a partita, ma mantenendo sempre il compromesso di cui sopra. Superare il concetto di fissità e ruotare le rotazioni, giusto per costruire un giochetto retorico.

Ecco, a quel punto nessuno avrebbe di che lamentarsi del mancato turn over. O del poco turn over. Intanto, un Napoli che doveva essere stanco ha dimostrato a Genova di essere in palla e ancora lucido fisicamente e mentalmente. I tre cambi hanno aiutato? Probabile. Ecco, ripartiamo da qui, giochiamo e pensiamo sul lungo. E peccato per Milik. I cambi avrebbero potuto essere quattro, addirittura.

ilnapolista © riproduzione riservata