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Il Napoli è arrivato a quella che Bernstein definì l’ambiguità musicale

La squadra di Sarri oscilla tra il suo collaudato sistema di gioco ed eccezioni apparentemente distruttive, come il gol di Zielinski

Il Napoli è arrivato a quella che Bernstein definì l’ambiguità musicale
Leonard Bernstein

Le sei conferenze

In quel tesoro nascosto che è YouTube viaggia l’insieme delle mirabili sei conferenze del geniale direttore d’orchestra e compositore Leonard Bernstein – un capolavoro di eloquenza e pedagogia cui l’autore conferì lo straordinario titolo “The Unanswered Question”, la domanda senza risposta. Si tennero ad Harvard ma sarebbero potute tenersi a Coverciano o a Castelvolturno, in quanto esse affrontano in ambito musicale ed in un contesto fortemente interdisciplinare un tema chiave: il valore centrale dell’ambiguità in qualunque espressione artistica – dunque anche quella calcistica.

Il Napoli sarriano visto in una porzione importante dei due anni passati è stato, per usare le parole del maestro americano, una squadra fortemente diatonica, che aveva nel sistema di gioco un recinto ideale nel quale poter sfruttare un numero elevato, ma finito, di possibilità. Il Napoli di Sarri, nell’ultima parte della scorsa stagione, quelle possibilità le ha adoperate tutte. Bernstein direbbe che il periodo classico dei partenopei è andato naturalmente esaurendosi e ci è alle spalle, ora che ha coperto in modo esaustivo quasi ogni possibile trama di passaggio, insieme di triangoli e tagli diagonali.

La stagione richiede una nuova espressività

La stagione presente, che ci vede tra i candidati alla vittoria, richiede una nuova espressività. Gli avversari conoscono a menadito movimenti, debolezze e virtù dell’intelaiatura azzurra. Gli eventi ci obbligano ad aprirci al cromatismo, direbbe Bernstein, attraverso quella evoluzione in cui fa capolino l’ambiguità musicale – armonie che raggiungono vertigini e poi devono risolversi solo nel tempo, che lasciano sospesi di tanto in tanto l’ascoltatore alla domanda: “Dove mi trovo? In che tonalità stiamo suonando?”, esattamente come il Napoli visto contro Atalanta, Bologna, Lazio e persino Shakhtar ci ha costretti a chiederci durante i novanta minuti in quale momento dell’evoluzione del match ci trovassimo o dove si fosse dissolto il nostro collaudato sistema di gioco.

Un sistema di regole e la sua eccezione apparentemente distruttiva

L’Adagietto della quinta di Mahler che Bernstein usa per spiegare questa sospensione ansiogena ma sublime è simile ai quarantacinque minuti dell’Olimpico: azzurri indefinibili fino all’istinto di un difensore centrale che, in totale individualistico cromatismo, inventa un pareggio, spalanca la gara nuovamente al sistema diatonico del Napoli con gol orchestrato di Callejon, per poi tornare alla massima insensata ebbrezza della parabola di Mertens – puro, personale cromatismo.

In questo altalenare tra un sistema di regole e la sua eccezione apparentemente distruttiva consiste l’ambiguità. Che Bernstein definisce meravigliosa e pericolosa al tempo stesso, perché genera il sublime eppure rimane legata a una esile distanza tra modulo e calciatore, tra diatonismo e cromatismo che, senza il necessario equilibrio, può orrendamente franare.

Spesso non sapremo in che chiave ci stiamo muovendo

Quando il maestro suona al piano i passaggi cromatici più ambiziosi e spregiudicati, quelli che sembrano portare gli ascoltatori lontani da un riparo sicuro o i tifosi in lunghi momenti di disperazione per lo svantaggio, il suo viso si contorce, segue la melodia quasi con un grugnito. Soffre. L’assenza apparente di regola, il virtuosismo individuale, il colpo di Zielinski che spezza una gara bloccata, richiedono enorme sofferenza, profonda attesa. L’ambiguità ci pone in un angolo, ci costringe a pensare alla vittoria come unica via d’uscita per combattere l’idea stessa di sconfitta.

Prepariamoci ad una stagione possente e crudele. Saranno minuti e ore e giorni e mesi di domande senza risposta. Spesso non sapremo in che chiave ci stiamo muovendo. Mancherà la tonica in molte vicende di campo, ci sarà difficile capire se stiamo giocando in maggiore o minore – ma tutto questo non è che la storia necessaria. Non ci affrettiamo. Godiamoci ogni momento del Napoli ambiguo, senza chiederci continuamente quale sia il suo senso.

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