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Le due interviste di Spalletti che spiegano che cos’è il sensazionalismo giornalistico

L’Inter e lo scudetto, i tifosi della Roma diversi dai tottiani. Per Spalletti, «bisogna fare discorsi seri e cercare di volere bene al calcio».

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Luciano Spalletti, ormai, è un allenatore di culto. Soprattutto se osservato nel suo rapporto con la stampa, quella locale (romana, fino a qualche mese fa) e quella nazionale. Anche quella russa, durante il suo periodo a San Pietroburgo. Proprio da una famosa intervista rilasciata dopo un match dello Zenit si ispira la pagina “Ma che emozione? ma che emozione? ma che cazzo dici?”. Sì, si chiama proprio così. E fa da megafono alle interviste più divertenti e interessanti del tecnico di Certaldo, da sempre protagonista nelle sue dichiarazioni ai microfoni.

Due di queste, le ultime, riportate per e con goliardia – secondo il chiaro spirito della pagina – ci hanno però fatto riflettere. Sul ruolo dei commentatori calcistici, innanzitutto. Sul loro ricercare costantemente polemiche e proclami. Quasi una risposta a chi, come Sandro Sabatini (Mediaset) o Alberto Cerruti (Gazzetta) si chiede o prova a spiegare i motivi di un silenzio stampa, oppure non riesce proprio ad andare oltre la più classica – e banale, e scontata – domanda di calciomercato. Sotto, la prima di queste due interviste.

Da prendere e da portare a casa, riascoltare in loop e capire cosa sia il calcio. Cosa sia il gioco. «Il cuore del mondo», lo definisce Spalletti. Una cosa che, avendo tutta questa (grande) importanza, meriterebbe «discorsi un po’ più seri». Il sottotesto è semplice: se voi mi chiedete di parlare di scudetto e io vi rispondo sì, poi potrete dirmi che ho fallito se non ci riusciamo. È la ricerca del sensazionalismo, è un’esaltazione interessata più al post e a una risposta clamorosa subito che a una reale analisi delle cose. Una grande risposta, piena di significati mascherati da ironia. E poi c’è la divisione tifosi della Roma/Tottiani. Questa l’ha spiegata ancora meglio alla Rai.

Il secondo video

«I fischi si sono sentiti, solo da parte dei tottiani. I tifosi della Roma, invece…». C’è tutto un mondo, dietro questa risposta. Il resto è accademia, è qui il punto del discorso. Al di là di come la pensi ognuno di noi su Totti, pare chiaro che l’atteggiamento della stampa (da sempre, non dall’altro ieri sera) sia orientato alla costruzione del caso. Di una faida tra Spalletti e l’ex capitano. Spalletti risponde con disarmante calma, spiega che non va sotto casa sua per bussargli al citofono ma «se lo incontro lo abbraccio volentieri».

È la seconda parte del discorso sui tottiani, che poi si esaurisce in una controdomanda: «Se Totti è ancora in grado di giocare, perché l’avete fatto smettere?». Anche qui il sottotesto è chiaro: io sono andato via, la società (senza di me, che nel frattempo ero già altrove) ha deciso che Totti non avrebbe più giocato. Io, quindi, non ho fatto altro che evidenziare una cosa di cui si sono accorti anche gli altri. E cioè che Totti non era più in grado di essere all’altezza di Totti.

Tutto giusto, tutto perfetto. Spalletti può essere considerato arrogante e presuntuoso, di certo non brilla per simpatia. Ma capisce di calcio, capisce di campo e di dinamiche che girano intorno. Capisce anche l’importanza di costruirsi ed essere un personaggio mediatico. In questo caso, ma in realtà succede quasi sempre, la sua lucidità e la sua intelligenza sono un colpo a chi parla di questo sport in un certo modo. E a chi, probabilmente, gli è meno affezionato di lui.

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