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Godin è un macellaio, ok. Ma anche quello dell’Atletico Madrid è calcio

Il Napoli di Sarri gioca un calcio armonioso e giustamente incassa elogi. Ma il calcio non è univoco nella sua interpretazione. E ciascun modo ha la sua dignità

Godin è un macellaio, ok. Ma anche quello dell’Atletico Madrid è calcio
Salvatore Bagni e Giannini in un celebre Roma-Napoli 1-1 col pareggio di Francini con gli azzurri in nove uomini

Il senso di superiorità

C’è un singolare fantasma che si aggira tra i tifosi del Napoli, quindi nell’ambiente Napoli: il senso di superiorità, quasi di sdegno, nei confronti di coloro i quali – gli avversari – non stendono tappeti rossi al passaggio della squadra di Sarri, Hamsik e Insigne. È successo lo scorso anno, a ogni partita contro le cosiddette piccole ree di essersi chiuse e aver cercato più o meno con ogni mezzo di portare a casa il risultato. Un atteggiamento tra l’altro in contraddizione con la storia della Società Sportiva Calcio Napoli. Ed è successo ieri dopo la partita amichevole contro l’Atletico Madrid.

I meritati complimenti a Sarri

Il Napoli di Sarri ha un gioco ben definito. Un gioco che ha consentito all’allenatore e alla squadra di raggiungere il terzo posto, gli ottavi di Champions, di essere stati il primo anno in lotta per lo scudetto, di incassare i meritati complimenti della critica, di far innamorare perdutamente tanti tifosi del Napoli, a Sarri di ricevere la panchina d’oro. Il Napoli gioca a calcio, circola un video di come il Napoli anche ieri è riuscito a uscire palla al piede dalla propria area fino ad arrivare al tiro di Ghoulam deviato da Oblak. Insomma tutto quel che ben sappiamo del Napoli di Sarri. Che ha consentito, giustamente, all’allenatore toscano di essere tra i tecnici più ricercati in Italia, e non solo.

Qui non si discute il Napoli di Sarri. Noi siamo tifosi del Napoli. Tifiamo per la squadra allenata da Sarri, così come abbiamo tifato per i tuffi di Celestini in area che consentivano a Ferrario di calciare i suoi rigori da infarto sotto la traversa. Abbiamo tifato il Napoli di Agostinelli – da calciatore e da allenatore – così come quelli più grandicelli si sono innamorati del Napoli di Vinicio. E potremmo ovviamente continuare a lungo.

Qui è in discussione il presunto senso di superiorità e soprattutto il presunto senso di appartenenza al gioco del calcio. “Fatece largo che passiamo noi” è per fortuna un concetto che il nostro allenatore Maurizio Sarri rifiuta alla radice, come hanno dimostrato le sue parole ieri in conferenza stampa dopo la partita. Poi lui ha la sua visione del gioco del calcio. Un anno fa, Sarri disse che sarebbe tornato in banca invece di giocare come l’Atletico di Simeone. È il suo modo di amare e di intendere questo sport.

Il calcio playstation

Qualcuno, più di qualcuno, ha interpretato alla lettera queste dichiarazioni. È un fenomeno relativamente recente l’esasperazione dell’equiparazione tra bellezza e gioco del calcio. Come se non ci fosse altro modo di affrontare questo sport. Chi scrive definisce questo fenomeno “il calcio playstation”, con lo sport più imprevedibile del mondo spiegato da tecnici e professori come se stessimo illustrando la curva di Leibniz. Emblema di questo conflitto tra i teorici e i concreti è la scena di “Fuga per la vittoria”, con Pelè che sottrae il gessetto all’allenatore Michael Caine e gli illustra la sua visione del calcio.

Sono cambiate le regole del calcio

L’agonismo è una componente essenziale del gioco del calcio. Così come di ogni altro sport. Il gioco del pallone è l’Ungheria della WM, dell’Olanda del calcio totale di Rinus Michels e Johan Cruyff, del Milan di Arrigo Sacchi. Ma è anche il Nottingham Forest di Brian Clough uno che introdusse sì il calcio rasoterra in Inghilterra, che portò il Nottingham Forest a vincere due Coppe dei Campioni consecutive, ma anche uno che disse: «Sono i calciatori che perdono e vincono le partite, chi parla di tattica scambia il calcio per il gioco del domino». Il calcio è l’Italia del 1982 che, anche aggrappandosi alle magliette di Maradona e Zico, costruì quella che è probabilmente la più bella vittoria del nostro calcio. Potremmo continuare a lungo. Citare il Bayern Monaco di Gerd Mueller.

Poi il calcio è cambiato. Sono cambiate le regole. Questo calcio – alla PlayStation, per capirci – è figlio del nuovo regolamento. Un regolamento che punisce sempre più il contatto fisico. Che oggi non farebbe più concludere una partita a difensori come Riccardo Ferri e talvolta nemmeno a Franco Baresi. È il regolamento che ha favorito questa metamorfosi. È un aspetto, questo, su cui ci si sofferma sempre troppo poco. È passata più o meno in cavalleria la dichiarazione di Maradona a proposito della moviola in campo: «Sono favorevole, anche se non ci sarebbe stato il mio gol all’Inghilterra». Sarebbe stato spazzato via un capitolo fondamentale della storia di questo sport. Sport che sta cercando sempre più di limitare il proprio profilo canagliesco. Il tempo dirà se è un bene oppure un male.

I giocatori dell’Atletico come Obelix

Chi ha qualche anno in più, ieri pomeriggio ha avuto la sensazione di cogliere un certo smarrimento nei calciatori dell’Atletico Madrid. Soprattutto nel primo tempo. Smarrimento non dovuto alla propria sensazione di inferiorità. Ma alla sensazione di sentirsi pesci fuor d’acqua. Su un campo di calcio, a vedere il pallone scorrere senza una scivolata, un tackle, un calcio alla viva il parroco. Tutti gesti che un tempo, forse ancora oggi, ricevevano persino ovazioni dal pubblico. I giocatori di Simeone avevano nel primo tempo lo stesso sguardo di Obelix durante una trattativa diplomatica: “Quando si comincia?”. Erano talmente esasperati che hanno provocato un rigore da principianti, almeno un bel calcione lo hanno assestato.

Il calcio è stato anche questo. Non abbiamo osato dire nulla quando un certo Ulrich Stielike prese a calci Gabriele Oriali in una partita piuttosto importante giocata al Santiago Bernabeu. Qualche mese fa, intervistato dal Mattino alla vigilia della sfida col Real Madrid, Salvatore Bagni ricordò la doppia sfida del 1987 e disse: “Credo di essere stato a lungo protagonista degli incubi di Michel e Martin Vazquez». Siamo reduci, lo sappiamo. Ma, fatta eccezione per l’entrata da macellaio di Godin, non riusciamo proprio a indignarci per il modo di stare in campo dei colchoneros. È un modo di intendere il calcio, sempre più demodé. Così come il calcio del Napoli di Sarri è invece di tendenza. Ciascuno con una propria dignità. Attenti a trasformare il gioco del pallone in una vetrina di bellezza.

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