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Cuore Napoli Basket, intervista reciproca tra coach Ponticiello e il Napolista

Cinque domande a testa sul rapporto tra basket, Napoli e giornalismo (e la burocrazia che ha bloccato Visnjic). L’allenatore che ha riportato la squadra in A2 e il giornalista Armando De Martino

Cuore Napoli Basket, intervista reciproca tra coach Ponticiello e il Napolista
coach Ponticiello

Due quintetti formati da domande. Un cinque contro cinque a suon di risposte. Coach Ponticiello, allenatore del Cuore Napoli Basket neopromosso in A2, risponde alle domande di Armando De Martino per il Napoli e successivamente intervista il giornalista.

Parte prima: De Martino intervista Ponticiello

1) La Serie A è pronta a vedere Napoli, Napoli come ci arriva?

Sullo slancio di una stagione esaltante in cui si è vinto tutto quello che c’era da vincere. La A2 impone grande prudenza, e non bisogna abbandonare la strategia dei piccoli passi.

2) Nomi, acquisti, partenze, Vucic, Carter, Nikolic, chi ancora?

Ripartiamo dal nocciolo duro, da Maggio e Mastroianni, napoletanissimi e legatissimi. Siamo riusciti a tenere l’under più richiesto dalla A2 (Nikolic ndr) e non era scontato. Manca Visnjic per un’incomprensione di regolamento che non ci ha permessi di tesserarlo. Sarebbe stata una grande storia di sport e di vita simile a quella di Klaudio Ndoja da me allenato a Sant’Antimo. Njegos lo colloco sul medesimo livello di gente che ha vinto scudetti ed Eurolega, come Nando Gentile o come il povero Fabian Tourn, sul podio olimpico a Barcellona 1992.. Purtroppo la burocrazia ha sottratto un argomento alla scrittura di Erri De Luca o Gianni Minà.

3) Alto/basso, extra pass, zona 2-3, quando i giornalisti raccontano la partita, e quando una zona non è zona?

Mi verrebbe da risponderti con le parole di Nanni Moretti, “le parole sono importanti, schiaffone incluso”. La qualità del giornalismo sportivo si misura anche dal come riesca a spostare l’attenzione dei tifosi, del becero linguaggio degli haters. Il rischio di trovarsi prigionieri di un linguaggio vuoto e non comunicativo è dietro l’angolo. Come la cantonata, perché non sempre le cose sono chiare e definite.

4) “Ci vuole il tempo che ci vuole” il tuo mantra. Alla città di Napoli quanto e cosa ancora manca per essere riferimento di questo sport?

Questa frase cult è da attribuire forse ad Ettore Messina che in ogni caso resta l’estensore del concetto, oppure a Giacomo Leonetti. Attribuire a me una paternità del concetto è da venditore della fontana di Trevi. Nel merito della domanda, proprio il concetto di Ettore: tempo e lavoro, il tempo per progettare e per esprimere il progetto in effettivo lavoro, in operatività.

5) “Ora, una parola curiosa per esprimere tutto un mondo e tutto una vita”Hemingway

Ti rispondo con Whatevershebringswesing, titolo del terzo album solista di Kevin Ayers, da Canterbury. Ovvero, traducendo dall’inglese all’italiano, qualunque cosa lei porti noi la cantiamo. Che è un po’ il medesimo concetto del napoletanissimo friggere il pesce con l’acqua. Non visto però come capacità di affrontare le difficoltà, bensì come immaginazione. Perché scrivere ed allenare sono legate dalla medesima necessità: essere convincenti. Affinché quello che hai davanti, un obiettivo tecnico così come una pagina da leggere, possa esser centrato o letto.

Parte seconda- Ponticiello intervista De Martino

1) Cuore Basket Napoli, come un giornalista napoletano ha vissuto le peculiarità di questa nuova realtà?

Ad occhi aperti, affacciandosi al Palabarbuto per vedere se fosse vero.  Dopo gli anni di Maione, e i famosi fallimenti sembrava una cosi tenera anima di argilla, che non ci sembrava vero poter raccontare il contrario.

2) E come le hai vissute sotto il profilo di allenatore?

Da tirocinante. Aver la possibilità di seguire gli allenamenti è stata per me un’ulteriore formazione. Saper riconoscere determinate situazioni, carpire determinati momenti è stata una fortuna non da poco.  Soprattutto apprezzare il grande lavoro di staff . Un momento di crescita personale, importante.

3) “I giovani a Napoli non possono sbocciare, qui servono giocatori già fatti”. In controtendenza, come è accaduto nel calcio, da Hamsik a Diawara. Si sono costruiti progetti dall’esclusione dalla A1 del 2007 fino alla “rivoluzione”dell’estate 2016. Tema e svolgimento.

La rivoluzione parte dal basso e da chi ha fame, e il presidente ha raccolto la fame di una piazza e l’ha saziata, puntando tutto su un coach capace di arrivare attraverso il gioco al risultato. Gli anni passati si puntava al passo lungo, qui al passo dopo passo, e all’unicità di intenti. I giovani, come nel calcio, hanno necessità di avvertire la fiducia. Come è stato per Mastroianni, Nikolic, ma purtroppo pochi allenatori come Sarri o Ponticiello sono capaci e coraggiosi da scegliere di migliorare le rose a disposizione, puntando su sconosciuti o ragazzi.

4) Perché un allenatore come te, nel redigere gli articoli, ha scelto la parte emozionale a quella tecnica?

Sono cresciuto sognando Soriano e Galeano che hanno saputo aprire il giuoco alla società. Io sono allenatore e coltivo un sogno, ma debbo esserlo su una panchina. In una città calcio-centrica, chi si avvicina alla pallacanestro lo deve fare emozionandosi. Se parlassi di pick-and-roll, doppie uscite o stagger, non li avvicinerei.

5) Hai avuto la possibilità di seguire il Ponticiello allenatore, in precedenza in prima persona il Ponticiello formatore di allenatori. Elementi di continuità, e differenze. Ammesse parolacce.

Ho sempre visto la stessa persona e non ne avevo dubbi. Un maestro trasmette il suo credo, il suo modello ed evidente che sia  quello che lui propone alle squadre di club. La parsimonia con cui cura i dettagli, l’attenzione all’aspetto mentale, ed allenare i giocatori “a pensare” e “a riconoscere” le situazioni come lo faceva a noi corsisti. Forse da formatore è più duro, mette più soggezione …e assegna tracce d’esame complesse…

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