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Un applauso a Monchi, che ci sta mostrando come sia normale portare Kolarov alla Roma

L’acquisto del terzino serbo sta letteralmente spaccando la tifoseria giallorossa, solo perché ha giocato tre stagioni alla Lazio. L’ultima nel 2010.

Un applauso a Monchi, che ci sta mostrando come sia normale portare Kolarov alla Roma

Siamo nel 2017

Nel giorno in cui i tifosi della Fiorentina apostrofano Federico Bernardeschi con i peggiori insulti possibili, i tifosi della Juventus se ne fregano altamente della sua formazione e provenienza viola. È un calciatore professionista, sta firmando con la Juve. Il suo mestiere, da oggi, è fare bene con la Juventus. Se vorrà valorizzare se stesso e la sua carriera, lo farà. Dubitiamo che il fatto che arrivi da un club rivale possa in qualche modo modificare questo proposito. Nello stesso giorno, i tifosi della Roma insorgono. Perché Monchi, il direttore sportivo giallorosso, ha praticamente perfezionato l’acquisto di Aleksander Kolarov.

Kolarov è un terzino sinistro serbo, ha 31 anni e ha giocato per sette stagioni nel Manchester City. Ha segnato anche contro il Napoli, su punizione, nel giorno dell’esordio degli azzurri nella Champions League 2011/2012. Ha giocato accanto a grandi campioni, è stato allenato da Guardiola, ha disputato una semifinale di Champions. Non è un top player, ma è sicuramente migliore di tutti i calciatori che giocano da terzino sinistro nella Roma. Ma i tifosi insorgono. Perché Kolarov ha giocato nella Lazio.

Ecco, a noi viene da sorridere. È strano, quantomeno strano, che nell’anno domini 2017 ci sia ancora qualche tifoso che davvero pensi a queste assurde questioni di onore e appartenenza. Di un calciatore serbo, tra l’altro. Nato a Belgrado, che quindi al massimo potrebbe/dovrebbe essere tifoso del Partizan o della Stella Rossa. Anzi, che è cresciuto nella Stella Rossa e ha giocato nell’OFK, sempre a Belgrado. Insomma, un professionista. Come Bernardeschi. Che nel 2017 arriva alla Juventus come se nulla fosse, ovvero con tutta la normalità di questo mondo.

È giusto così

Dovremmo ringraziare Monchi. Che sta cercando di deprovincializzare un calcio ancora legato ad assurde, antiche questioni di campanilismo. Che potrebbero avere senso per Totti o per Florenzi o per De Rossi, allora forse capiremmo. Non per un calciatore che a 21 anni è stato avvicinato da un club italiano mentre giocava nell’OFK. Che ha disputato tre ottime stagioni in questo club, la Lazio, e poi è emigrato a fare il professionista al Man City. E che ora ha la possibilità di continuare a giocare in Champions League, offrendo in cambio esperienza e qualità.

Dovremmo ringraziare Monchi, dicevamo, perché sarebbe giusto che tutti la pensassero come lui. Che i tifosi della Roma, esattamente come quelli del Napoli, buttassero via il prosciutto poggiato sull’iride. Il prosciutto del tifo. Da tifosi del Napoli, noi accoglieremmo Caceres o Vidal o Asamoah senza problemi. Stranieri che sono stati alla Juve, che problema c’è? Abbiamo accolto Giaccherini, alcuni napolisti accoglierebbero tranquillamente anche Bonucci o Marchisio. Sono professionisti. Come Higuain, come Bonucci. Non c’è niente di male.

È facile fare la predica, penseranno i romanisti, anche perché qui non c’è una seconda squadra cittadina. Ma la Juve assume quella dimensione, quella forma, quella narrativa. E, sinceramente, un Alex Sandro lo prenderemmo volentieri. Ma anche un Morata, che però ora è al Chelsea, che peccato. Non comprendiamo come a Roma riescano ad essere così miopi, o meglio accecati, da non capire che cinque milioni di euro per un terzino così importanti sono un gran colpo di Monchi. Che non ha nemmeno guardato Wikipedia per capire quante partite ha giocato nella Lazio. Il suo mestiere non è fare il tifoso, ma altro. Per fortuna.

Il precedente

I tifosi della Roma protestarono moltissimo anche nell’estate del 2011,  quando Luis Enrique portò in giallorosso Ivan De la Peña come suo vice. Due mesi e tre giorni, poi l’addio per «motivi personali». Qualcuno mormorò di pressioni e minacce perché il tecnico spagnolo avrebbe portato con sé un laziale. Un laziale da 15 partite in tutto, con i biancocelesti.

Probabilmente, Roma e l’Italia vivono un problema culturale. De la Peña è cresciuto nel Barcellona e poi è stato un simbolo dell’Espanyol, Luis Enrique è passato dal Real al Barcellona durante la sua carriera da calciatore. Monchi, nell’estate del 1999, ha iniziato la sua carriera da ds al Siviglia acquistando Adilson, calciatore del Betis. Rendiamo ancora grazie, che probabilmente può davvero insegnarci come si fa il calcio.

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