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La Serie A, un campionato ricco di gol ma poco competitivo

Le dinamiche tecniche, tattiche ed economiche di una Serie A dall’altissima quota scudetto, con 1000 reti realizzate e un gap enorme tra le varie squadre.

La Serie A, un campionato ricco di gol ma poco competitivo

Numeri e suggestioni

Due vittorie a Milano per il Napoli, altrettante per la Roma. Vittorie nette, potremmo dire anche “facili” e nessuno contesterebbe. Nessuno potrebbe farlo. Numeri e suggestioni. Anzi, suggestioni suffragate dai numeri. Milan-Roma 1-4 è l’ennesima dimostrazione di una Serie A che non ha (più) un alto livello di competitività. E che piazza, in classifica marcatori, sei calciatori con più di 20 gol. E che molto probabilmente farà segnare la quota record per il secondo e il terzo posto, dopo gli 82-81 del 2015/2016. La Juventus, invece, potrebbe alzare quella scudetto. Dai 91 dell’anno scorso ai 94 potenziali di quest’anno.

Poi ci sono i gol. Tanti, forse troppi. Lazio-Sampdoria 7-3 è il record stagionale, ma anche Napoli e Inter hanno giocato partite del genere. Bologna-Napoli 1-7, Inter-Atalanta 7-1. Una pioggia di reti. Più di 1000, quota raggiunta già ieri, in 350 match giocati. Una media grossolana ci dice che siamo vicinissimo alle tre per match. Un campionato ricco di gol. Sei squadre hanno superato i 60 gol, la Lazio è a 59. Nel 2015/2016 ci riuscirono Juventus, Napoli, Roma e Fiorentina. Quello ancora in corso è un campionato spettacolare, ma forse non competitivo.

L’eterno dilemma

Ecco, partiamo dalle definizioni delle definizioni. Il “campionato spettacolare” è quello combattuto o quello ricco di gol? Nessuno sa o riesce dare una dimensione univoca a questa definizione. Anche noi stessi finiamo per mitizzare e smitizzare a nostro piacimento questo concetto. Se lo spettacolo è quello che si vede in campo, allora questo torneo è l’inizio di una nuova golden age. Mai tante partite ricche di belle giocate, anche se a senso unico. Se lo spettacolo è quello che si vede in classifica, allora il discorso cambia. Perché a tre giornate dalla fine è quasi tutto deciso. Resta da capire: chi arriverà secondo; quando l’Atalanta farà il punto che manca per l’Europa League; chi, tra Milan, Inter e Fiorentina, riuscirà a qualificarsi per la seconda competizione europea; l’ultima retrocessa, con impegnate Crotone, Empoli e (marginalmente) Genoa. A 270′ dal termine, otto squadre e mezzo hanno ancora un obiettivo da rincorrere. Le altre undici e mezzo fanno da sparring. Come la Sampdoria di ieri. Come il Milan, verrebbe da dire, ma qui si apre un’altra questione – perché per il Milan ha (avrebbe) ancora senso giocare per vincere.

Differenze

L’altro discorso sta nelle distanze tra le forze in campo. La Juventus, poi un abisso grande circa dieci punti. La Roma e il Napoli, a braccetto, come l’anno scorso, poi un altro abisso vicino ai dieci punti. La Lazio e l’Atalanta, una sorpresa e mezzo prima delle grandi delusioni. Con altri dieci punti in mezzo. I due club nerazzurri, gli orobici e l’Inter, vanno a scompaginare il discorso lineare dei grandi investimenti. Cioè l’Inter dovrebbe essere a ridosso di – se non avanti a – Napoli e Roma, Gasperini e i suoi dovrebbero stazionare molto più indietro. Il giusto equilibrio: forza della rosa, investimenti e potere economico descriverebbero questa classifica ideale.

Invece, ecco la dimostrazione della forza del lavoro contro quella dell’improvvisazione. I bergamaschi in Europa, l’Inter a ricercare sé stessa più in basso. Idem il Milan. Una doppia debacle di dimensione internazionale, tanto da entrare diretta nell’ultimo rapporto CIES. L’Inter è la squadra più indietro rispetto alla propria spesa nell’ultimo mercato estivo.

Il campo

Il discorso di campo è molto più complesso. Il Napoli arriverà a un punteggio vicino a quello degli scudetti pre-Juventus, ha disputato un “normale” campionato di vertice. La Juve ha numeri sovrumani, questo è il problema. I bianconeri hanno perso punti contro Milan e Inter (fa sorridere), a Genova, Firenze, Napoli, Udine, Bergamo e contro il Torino in casa. Hanno vinto 27 partite su 35. Hanno la miglior difesa, per questo hanno vinto. Ma anche loro, a un certo punto della stagione, hanno dovuto cambiare atteggiamento, passando da un gioco reattivo a uno di gestione offensiva del pallone. Anzi, lì è cominciata la striscia importante.

Il discorso tattico spiega i tanti gol: molti tecnici hanno finito per abbracciare sistemi diversi, meno speculativi e più orientati all’attacco che alla difesa. Guardando alle prime posizioni, solo Lazio e Atalanta hanno configurazione di attesa e ripartenza. Che poi, in realtà, sono idee superate anche quelle. Come si può definire “catenaccio e contropiede” il gioco di Inzaghi e Gasperini? È una roba diversa, illuminata. Dopo di loro, tanti allenatori “champagne”. Mihajlovic, Giampaolo, Rastelli, Di Francesco, Donadoni, Martusciello. Persino Maran, che fa dell’intensità la sua forza e lascia giocare molto di più rispetto a certi Chievo del passato. E poi c’è Zeman ultimo in classifica. Subentrato ad Oddo.

Alla fine, in questo contesto, ha vinto la squadra con la difesa migliore. E con i giocatori migliori. Non è un caso, certo. Non lo è mai stato, nel nostro campionato. E anzi, diventa una virtù ancora maggiore quando la competitività non è altissima e lo stile di gioco diventa più sbarazzino.

Conclusioni

Differenze economiche, differenze tattiche rispetto al passato, il gap tecnico tra le varie fasce. Il nostro campionato ha partorito queste dinamiche, tipiche dei tornei europei più ricchi e meno “controllati” dalla lega rispetto alla competitività interna (la Premier e la Liga). È uniformarsi, anche se magari alcune cose non ci piacciono. Come la Juventus ha dovuto fare con un certo stile di gioco europeo – pur mantenendo alcuni principi – così la Serie A ha iniziato la sua conversione. Che, come detto all’inizio, apre a un eterno dilemma. Lo spettacolo della classifica vale più di quello dei gol? Dipende da dove guardi queste cose. In televisione, probabilmente, vince sempre il secondo.

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