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Il 4 maggio, a Superga, il grande Torino divenne per sempre un mito

Una squadra che è entrata negli occhi di tutti anche se quasi nessuno l’ha vista giocare. Andarono a dare una mano al Benfica. E non tornarono più.

Il 4 maggio, a Superga, il grande Torino divenne per sempre un mito

Nessuna sconfitta in casa per sei anni

Ci sta una squadra che è diventata di tutti quelli che hanno avuto un padre, un nonno, uno zio che gliel’ha saputa raccontare. Una squadra che è entrata negli occhi di tutti anche se quasi nessuno l’ha vista giocare. Ci sta una squadra che per sei anni nessuno è riuscita a battere in casa. Era composta da uomini infallibili che pare giocassero un quarto d’ora, il tempo di capire che si era fatto troppo lunga la pratica e quindi andava chiusa per poi tornare a casa dalle famiglie. Ci sta una squadra, ancora adesso, che riecheggia nelle anime di ogni sportivo italiano, e riporta in evidenzia il termine tanto caro agli antichi, il mito.

Il capitano del Benfica chiese aiuto

La storia a volte inganna, è un racconto troppo freddo che ti regala solo cronache e dettagli spogli, ma la capacità di ognuno di noi di riuscire a creare immagini, come un film senza sonoro, può aiutare a comprendere quello che è stato lo spettacolo e al contempo l’ingiustizia più grande da quando l’uomo inventò il calcio. Successe che il capitano del Benfica, tale Francisco Ferreira, fosse in gravi difficoltà economiche e pertanto chiese al suo presidente un aiuto. Allora gli ingaggi non erano faraonici, e si giocava per puro gusto. Il presidente lusitano pensò bene di invitare la corazzata più forte del mondo, quella composta da semidei in calzoncini, quella che avrebbe di sicuro riempito lo stadio, quella squadra che componeva per intero anche la formazione della nazionale italiana.

Lo scalo a Barcellona

Il Torino, il Grande Torino, la squadra più forte del Continente, che accettò l’invito e partì alla volta della capitale portoghese. La partita si concluse quatto a tre per il Benfica, ma risulta essere un dettaglio rispetto a quello che fu lo scopo della gara. La formazione allenata da Vittorio Pozzo, che in quell’occasione lasciò al suo vice l’onore e la gioia di guidare quella corazzata, ripartì da Lisbona la mattina successiva all’incontro. Fece scalo a Barcellona, dove incrociò anche la compagine rossonera del Milan diretta a Madrid, e si imbarcò per Torino. Un viaggio di ritorno, con il cuore leggero e l’anima rinfrancata del grande gesto fatto, per aiutare un collega, ma pare che volando sempre più in alto, verso le nuvole, qualcuno incrociò lo sguardo di quelli che da lassù i fili li muovono sul serio.

Di’ un po’, ma davvero sta squadra è imbattibile? Sì, non perdono mai, ma non è solo questo. Se li vedi giocare, pure tu che non ci capisci niente, ti innamori. Addirittura? Dare calci ad un pallone può dare tali emozioni? Sì, se i calci ad un pallone rendono un popolo felice, coraggioso, immortale.

La più grande squadra da quando l’uomo inventò il calcio

Perdendosi nei loro discorsi e scordandosi di tenere i fili giusti, i due non si accorsero di aver lasciato andare giù i cassetti delle nuvole, le borracce dei venti, e i secchi della pioggia. La più grande squadra da quando l’uomo inventò il calcio, entrò diritta nella collina di Superga, lasciando per sempre il campo della partita della vita. Ma i miti non muoiono, e sono stati creati per essere raccontati nel tempo, per il tempo, con il tempo, e nessuno può e deve macchiarne la memoria, nessuno può farne una battaglia di rivalità, di screzi, di ripicche, perché i miti si amano, se non altro perché hanno il merito di averci lasciato per sempre un grande favola da raccontare. 4 maggio 1949 in tutta Italia, da Lampedusa ad Aosta, l’Italia tifò Torino.

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