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Le proteste per Terrae Motus a Caserta ricordano quelle (inutili) per l’arbitraggio

A Napoli nessuno ha voluto ospitare la celebre mostra di Lucio D’Amelio, ora la città si indigna per la scelta di Caserta.

Le proteste per Terrae Motus a Caserta ricordano quelle (inutili) per l’arbitraggio

Dal calcio alla città

Seguitemi, grazie. Vorrei tentare un triplice salto mortale senza rete, che proprio non è il mio mestiere. Abbandonando il linguaggio circense, vorrei mettere insieme due notizie, anzi tre che non si tengono l’una con l’altra, ma, tutte insieme, danno una immagine, al solito, dolente e preoccupante della nostra città. Che riesce a “sporcare” anche le poche favole ben costruite, come è, appunto, l’ascesa del Napoli ai vertici europei del calcio.

Il Napoli ha perso per colpa sua

La prima notizia è di giornata e riguarda la reazione oltremodo scomposta di una parte del tifo anche paludato seguita al mezzo tonfo del Mapei stadium seguita, secondo tradizione, dai raid oratori dei tifosi tout court, che, mal consigliati, sono riusciti a fare peggio dei maitres a penser. Una volta per tutte: il Napoli non si è fermato a Reggio Emilia per colpa dell’arbitro – che, pure, è responsabile per la sua parte insieme alla dea bendata –  ma esclusivamente per sua colpa. E per i limiti, anche di direzione tecnica, che sono ormai fin troppo noti. Uno per tutti: in una giornata in cui il centrocampo schierato non rendeva al meglio, al cronista è apparso quanto meno strano vedere in panchina i gioielli acquistati a suon di bigliettoni.
Parliamo di Diavara, Zielinski e Rog che, a parere di molti esperti ed anche di chi scrive che esperto non è, avrebbero potuto fare la differenza. Anche tenendo conto che il Sassuolo non si era dimostrato all’altezza di tenere il passo del Napoli. Detto questo, si arriva senza ulteriori passaggi alla canea che si è scatenata nel dopo partita e discende dalla violenza parolaia che domina le nostre vicende calcistiche fatte di talk show strillanti e di sermoni mediatici da rabbrividire. E qui non assolvo proprio nessuno, neanche Paolo Cannavaro che pure la violenza parolaia l’ha subita, ma, stando alle sue risposte, l’ha anche esibita e, non vorrei sbagliare, anche con un pizzico di compiacimento.

La grande idea di Lucio Amelio

Passiamo ad altro perché non abbiamo dimenticato la terza notizia. Cambiamo registro, ci spostiamo sul versante culturale, ma non abbiamo remore a farlo perché, come vedremo, il punto di partenza e di arrivo è assai simile e attiene alla molto deplorevole consuetudine di casa nostra di accorgerci del furto – cioè dell’errore – solo dopo che il misfatto è stato consumato. Se questo è vero, tifosi e censori sono sulla stessa linea. Le vicende da segnalare sono due: la perentoria richiesta di strappare a Caserta la mostra Terrae Motus – la più nobile iniziativa post terremoto tenacemente voluta e realizzata dal grande gallerista Lucio Amelio – che prima di essere ospitata (bene o male è un’altra questione) nella Reggia vanvitelliana era stata rifiutata da Napoli e rischiava di finire in un sottoscala e la minaccia che incombe sull’Arco di Trionfo di Alfonso D’Aragona che campeggia sul Maschio Angioino ed è uno dei simboli più ammirati dell’identità napoletana.

L’offesa all’Arco di Trionfo del Maschio Angioino

In entrambi i casi le proteste somigliano molto alle invettive del tipo (arbitro cornuto) dei tifosi e questo, una volta per tutte, va detto. Perché chi protesta oggi per Terrae Motus ha taciuto quando Terrae Motus vagava da un sito possibile ad un altro senza trovarne uno? E, allo stesso modo, perché la città non si mobilita oggi per scongiurare l’offesa all’Arco di Trionfo del Maschio Angioino sventando le oscure trame che potrebbero consentire ai privati di sponsorizzare pezzi straordinari della nostra cultura utilizzandoli per fini promozionali? La protesta di Mirella Barracco e della Fondazione Napoli Novantanove che trent’anni promosse e realizzò il restauro del monumento è, dunque, sacrosanta e andrebbe adeguatamente sostenuta ma c’è poca voglia di farlo. Prima di indignarsi, evidentemente, si aspetta che il danno si compia: c’è più gusto.
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