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Inchiesta Juventus, i giornali spiegano perché il pastrocchio Pecoraro conta zero per il processo sportivo

Perché il pasticcio sulla intercettazione che non c’era crea clamore mediatico ma non cambia nulla ai fini della giustizia sportiva.

Inchiesta Juventus, i giornali spiegano perché il pastrocchio Pecoraro conta zero per il processo sportivo
Andrea Agnelli col presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio

La giustizia sportiva non può occuparsi di ‘ndrangheta

Quando lo tsunami mediatico parte (talvolta preparato ad arte), non lo puoi arrestare. È una regola la cui efficacia non è inferiore alla legge di gravitazione universale. È quel che sta accadendo in queste ore dopo l’audizione del procuratore federale Pecoraro – il titolare dell’inchiesta sportiva sulla Juventus per la gestione e vendita dei biglietti delegata agli ultras – alla commissione parlamentare antimafia. Il messaggio che sta passando per chi ovviamente non segue il caso è che c’è stato un dietrofront e il Pecoraro ha negato il rapporto consapevole tra Andrea Agnelli ed esponenti della ‘ndrangheta.

Il tema è il bagarinaggio degli ultras favorito dalla Juventus

Prima di passare alla rassegna stampa, facciamo una sintesi. I rapporti tra la Juventus e gli ultras – alcuni dei quali vicini o comunque indagati per associazione mafiosa – sono emersi nel corso delle intercettazioni effettuate dalla Procura della Repubblica di Torino nell’ambito dell’inchiesta “Alto Piemonte” sull’infiltrazione della ‘ndrangheta nella regione. La Procura della Repubblica (quindi stiamo parlando dell’aspetto penale) non ha indagato alcun dirigente della Juventus. Ma ha girato gli atti, la documentazione – quindi anche le intercettazioni – alla giustizia sportiva. Perché penalmente ha ritenuto che non ci fossero gli estremi per indagare Agnelli o altri dirigenti della Juventus per concorso esterno. Ma poiché la vendita di biglietti da parte della Juventus agli ultras per favorire il loro bagarinaggio è reato per la giustizia sportiva.

Di cosa si occupa la giustizia sportiva

Speriamo di essere stati chiari. Quindi che Agnelli avesse rapporti diretti con la ‘ndrangheta è stato escluso dalla Procura della Repubblica. Il prefetto Pecoraro (giustizia sportiva) non ha altre intercettazioni che quelle passategli dalla Procura di Torino. Pecoraro, nell’audizione secretata in commissione antimafia (che non è sede processuale), ha commesso un pastrocchio – anche grave viste le conseguenze mediatiche – ma chi segue realmente l’inchiesta sapeva bene che non avrebbe potuto avere altre intercettazioni. Così come sa bene che per la giustizia sportiva cambia zero se il bagarinaggio avallato dalla società è effettuato da ndranghetisti, vegani, carnivori eccetera.

La Juventus non era sotto ricatto

La violazione del codice di giustizia sportiva è nel rapporto tra la società e gli ultras che acquistavano pacchetti di biglietti dalla Juventus per rivenderli a prezzo maggiorato. Pratica che la Juventus conosceva e che peraltro non nega. La Juve parla di estorsione. La Procura della Repubblica (penale) nega l’estorsione perché la Juventus incassava soldi per i biglietti, era un accordo tra uomini liberi e consapevoli. La Juventus non era sotto ricatto. Una storia gravissima in cui c’è anche un morto suicida. Poi, questo è un fatto, il rappresentante degli ultras presso la Juventus – Rocco Dominello – è ora accusato di associazione mafiosa al processo sulla ‘ndrangheta a Torino.

La rassegna stampa / Repubblica

Passiamo alla rassegna stampa. Repubblica mette il caso in prima pagina: «Juve e clan, pasticcio di Pecoraro. “Intercettazioni, non era Agnelli”». Non indulge il quotidiano diretto da Mario Calabresi:

Doveva essere un chiarimento, s’è trasformato in un pastrocchio. Da cui la figura del procuratore della Federcalcio Giuseppe Pecoraro esce malissimo. S’era presentato alla Commissione parlamentare Antimafia con un unico compito: rispondere alle richieste di delucidazioni su un’intercettazione riguardante il n.1 della Juventus, Andrea Agnelli. È uscito con una mezza retromarcia: «Mai avvicinato il nome di Agnelli alla ‘ndrangheta». Incassando una smentita dalla Procura di Torino. Il pasticcio non cambia l’impianto accusatorio su cui il prossimo 26 maggio il Tribunale della Figc si troverà a giudicare Agnelli.

Juventus

Analitica. Realistica. Sia sul pastrocchio di Pecoraro sia sulla considerazione che nulla cambia per la giustizia sportiva. Questa è la conclusione di Repubblica che cita il deferimento della Procura Figc di cui il Napolista ha pubblicato in esclusiva gli atti.

Nelle 20 pagine del deferimento, il rinvio a giudizio della procura Figc, al n.1 della Juve si contesta che: «Non impediva a dipendenti di intrattenere rapporti costanti con gruppi ultras anche con il contributo fattivo della criminalità organizzata, autorizzando la fornitura di biglietti e abbonamenti… favorendo consapevolmente il bagarinaggio e partecipando a incontri con esponenti della malavita organizzata». Mai, il procuratore, pone l’accento sulla “consapevolezza” di Agnelli di avere a che fare con mafiosi. Ma che li abbia incontrati è un fatto. Come la figuraccia di Pecoraro.

Il Corriere della sera

Anche il Corriere della Sera è chiaro. L’articolo comincia così: “L’intercettazione dello scandalo non c’è più: non esiste la prova che Andrea Agnelli, quando parlava con Rocco Dominello, a processo a Torino per associazione di stampo mafioso, fosse a conoscenza dei suoi legami con la ‘ndrangheta. E Giuseppe Pecoraro, ex prefetto di Roma, procuratore della Figc, finisce nella bufera”. E si chiude così:

In ambito sportivo, comunque, non cambia nulla: il deferimento nei confronti della Juve è indipendente da tutto questo. «Non devono esserci contatti di quel tipo con la tifoseria, si tratta di bagarinaggio. E la prima responsabilità è del presidente, perché se ne occupava, oppure non ha vigilato. A me interessa che questi biglietti siano stati venduti da soggetti malavitosi, che usavano i proventi anche per sostenere le famiglie dei detenuti».

La Gazzetta dello sport scrive, tra gli altri passaggi: “Chiarito e non da ieri il presunto giallo, resta sul tavolo il duro e sorprendente deferimento di Pecoraro. Nel dettaglio, l’accusa alla Juve che scavalca i pm di Torino è di intrattenere rapporti «costanti e duraturi» con gli ultrà «anche per il tramite e col contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata». Il procedimento sportivo al via il 26 maggio non è comunque basato sulla telefonata della polemica. Per questo, il procuratore ha confermato le motivazioni della sua accusa circoscrivendola nel codice di giustizia sportiva: «Il tema è il bagarinaggio e il rapporto con gli ultrà. La responsabilità è in primo luogo del presidente che era consapevole o comunque non ha vigilato. A noi interessa la condotta antisportiva e di slealtà».

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