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Higuain si illude che unirsi a un gruppo vincente possa renderci vincenti

Gonzalo bello e materno. Nel post-partita, Sarri ne traccia una veloce apologia. Sembrava un film di Antonioni sull’incomunicabilità

Higuain si illude che unirsi a un gruppo vincente possa renderci vincenti

La grande illusione di Higuain

I quattro giorni dell’aprile juventino che stiamo vivendo sono quelli della grande illusione. Quella avvolgente e fondamentale che il sanscrito chiama māyā – cui i vecchi e sornioni progenitori indiani davano lo stesso misterioso significato di creazione.

C’è la grande illusione di un uomo, Gonzalo Higuain, quasi grato ai fischi che qualcuno ha definito orgiastici e che sono stati poco più che ordinari. Il Gonzalo è un uomo alla soglia dei trenta, bello come nessun altro centravanti della storia del Napoli, che si sveglia di notte preda degli incubi taglienti delle proprie occasioni perse. Le finali svanite, le reti decisive mancate, gli undici metri maledetti. È bello e materno, il Gonzalo. Allora esce di casa per trovare ristoro nella mano di chi possa garantirgli un carattere vincente rimanendo casalingo, nel calore di una famiglia che lo accarezzi. E si illude che unirsi ad un gruppo vincente possa renderci vincenti, seguendo la dinamica inversa rispetto a quella di ogni campione che ha l’ambizione – e forse anche lui l’illusione, ma più eroica – di donare la goccia di eternità ad una realtà troppo legata al tempo. L’heros greco vuole immortalarsi cedendo parte della sua immortalità mentre il Gonzalo l’immortalità la cerca con un filo di disperazione, qualle di chi sa di vivere una infinita illusione, abbandonato nella metà campo avversaria.

L’illusione muove menti e cuori con un moto più tellurico e profondo della speranza. È quella che dava vita ai balenieri che Melville descrive nel suo capolavoro mentre avvolgevano di leggenda il Moby Dick cercato e mai visto sui ponti delle navi – “sebbene selve di lance gli venissero piantate nei fianchi, lui si sarebbe sempre allontanato incolume, e se davvero fosse mai stato ridotto a sfiatare sangue denso, un tale spettacolo sarebbe stato soltanto una spettrale illusione, poiché di nuovo in flutti incruenti migliaia di leghe lontano, si sarebbe pur sempre intravisto il suo spruzzo immacolato”

Sarri e l’apologia di Higuain

In questa fitta nebbia lattiginosa cerca di orizzontarsi anche Maurizio Sarri. Non riesce a trattenere un certo tratto languido quando parla del Gonzalo. Nel post partita si ritrova quasi a costruirne una veloce apologia contro chi ne critica la performance non maiuscola. Era isolato. Aveva i compagni a trenta metri. Sembra di assistere al finale alternativo del Dottor Stranamore di Kubrick o ad un frammento della trilogia dell’incomunicabilità di Antonioni. Si conia la definizione di “supremazia territoriale” con la leggerezza che avrebbe conquistato un capitolo del capolavoro di Melville. I balenieri rincorrono il capodoglio con lo stesso zelo col quale i post partita forniscono coefficienti.

Finisce come l’illusione richiede. Senza vincitori. Nel maya sanscrito non esistono sopra e sotto né alto né basso. Ci sono solo flutti sordi sulla nave ma nessuna riva. Non c’è tempo da dedicare alla vittoria.

Poi, magari, tu, dolce Ciuccio, ragli forte. E ci svegli.

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