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Velardi: «A Napoli impera la politica dei selfie, sposata dagli intellettuali. De Laurentiis è bravo, i papponi sono in tribuna d’onore»

Intervista / Claudio Velardi: «Il giornalismo è basato sui luoghi comuni e Napoli ne è la capitale. Solo Bassolino “bucò” la stampa del Nord, ma alla base c’era una politica diversa che guardava al mondo».

Velardi: «A Napoli impera la politica dei selfie, sposata dagli intellettuali. De Laurentiis è bravo, i papponi sono in tribuna d’onore»
Claudio Velardi

Napoli è ripiegata su se stessa

Il cuore del discorso è questo. «Il problema di fondo è che nelle altre città non si parla di sé stessi, si parla del mondo. Oggi a Napoli impera la politica dei selfie. È Napoli che fotografa se stessa, in continuazione. E più affondi in questo napoletanismo, più diventa un buco nero che non ti fa vedere quel che accade altrove. A Parigi non si parla di Parigi, a Londra non si parla di Londra, a Francoforte non si parla di Francoforte. Altrove si parla del mondo, si proiettano nel mondo. Questo è il punto. A Napoli non accade perché non c’è una vera classe dirigente. Quella, diciamo, che c’è non lo conosce il mondo. I nostri intellettuali sono i vecchi intellettuali crociani che non sanno andare su Internet, non ci vanno su Internet, non sanno qual è il dibattito che si sviluppa nel mondo. Questo è, e poi ce la prendiamo con De Laurentiis».

Parole e musica di Claudio Velardi uno dei tanti napoletani che ha un rapporto controverso con la città. Non particolarmente amato e forse proprio per questo un osservatore con cui è sempre interessante scambiare quattro chiacchiere. Immancabilmente con una chiave di lettura originale e mai omologata. Uno che di comunicazione se ne intende. Senza tornare agli anni con D’Alema a Palazzo Chigi, oggi tra le altre cose tiene un corso di Lobbying e comunicazione alla Luiss.

Dieci pagine per Napoli-Real Madrid

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Ci siamo rivolti a lui perché ci ha colpiti l’esternazione televisiva dell’altra sera del presidente. Ci ha colpiti perché De Laurentiis, per conquistare quel consenso che da sempre gli viene negato in città, ha dovuto stimolare il senso di accerchiamento che in questo periodo storico è molto radicato in città. E infatti, con tre frasi in croce in tv, De Laurentiis ha raggiunto un gradimento quasi mai avuto in città.

«Voglio fare una premessa, De Laurentiis non mi piace particolarmente. Ma non come imprenditore. Non mi piacciono i suoi modi, il suo linguaggio, non amo il personaggio. Però è innegabilmente bravo. Sa fare il suo lavoro. Con pochi soldi, ha preso il Napoli dai bassifondi del calcio italiano e lo ha proiettato in Champions a giocare col Real Madrid. Ha ragione quando dice di aver portato a Napoli un evento. E lo testimoniano le prime nove, dieci pagine, quante erano adesso non ricordo, che un giornale come Il Mattino ha dedicato alla partita il giorno successivo alla partita. Da far cadere le braccia, dà l’idea che a Napoli non ci sia altro. E, sia chiaro, considero Il Mattino un giornale realmente ben fatto, molto interessante da tanti punti di vista. Una città non può ridursi a una partita di calcio, sia pure importante».

Però, obiettiamo, Napoli-Real Madrid era l’evento del giorno, in città non si parlava d’altro. «E qua ti volevo. A Napoli non si parlerà mai d’altro che di Napoli e in questo caso del Napoli. Bisogna sforzarsi di trascinare Napoli fuori da questo buco nero in cui sta sprofondando e da cui riesce sempre e solo vedere sé stessa».

Il papponismo e i veri papponi

Eppure, quando De Laurentiis prova a spiegare che è un imprenditore, che il Napoli è un’impresa e lui deve guadagnare, la città gli si rivolta contro. È quella che potremmo definire una vera e propria corrente filosofica: il papponismo. Quando invece vellica il vittimismo, la sensazione di accerchiamento, ne esce come un eroe.

«Lo so perfettamente. La verità è che i papponi sono quelli che l’altra sera, e non solo, erano in tribuna d’onore col biglietto gratuito ad assistere alla partita. Quelli sono i papponi, non lui. Professionisti, amici degli amici, presenzialisti, che alla fine della fiera sono invidiosi del successo di De Laurentiis che in dieci anni ha creato un’impresa che funziona. Solo in Italia c’è la concezione che non si debba pagare per assistere a un evento. Purtroppo in Italia, non solo a Napoli, guadagnare, fare soldi è considerato un crimine. Mentre secondo me guadagnare è l’unica attività morale possibile. Sì, morale. Perché senza soldi, il mondo non va avanti, non progredisce. Da noi ci si deve quasi vergognare di fare impresa. È un’arretratezza culturale spaventosa, che però non riguarda solo Napoli».

Il primo Bassolino

E infatti quando deve riconquistare consenso, si rifugia nel populismo a buon mercato. «Quando è in difficoltà o quando gli fa comodo, asseconda la corrente. Adesso passerò per quello che fa l’elogio di Bassolino, ma c’è un concetto cui tengo molto. A dire il vero, è di Eduardo Cicelyn. Ma lo faccio mio. La reale differenza tra la politica di de Magistris e il punto più alto del bassolinismo, ripeto punto più alto è questa: è stato l’unico momento in cui Napoli è uscita fuori da se stessa. È una differenza decisiva, cruciale. Tutta la politica culturale di de Magistris è Napoli che guarda se stessa, Nalbero ne è una sintesi perfetta. Che ci vai a fare lassù? Vai a vedere Napoli, vedi il mare, e non solo. A piazza del Plebiscito non vedevi Napoli, nella Montagna di sale ma anche nelle altre opere vedevi il mondo, vedevi un grande artista. Tutto quello che fa de Magistris. e contraddistingue questa fase di vita napoletana, è uno sprofondamento in questo buco nero».

L’oleografia è sempre dietro l’angolo

E funziona anche, aggiungiamo, almeno dal punto di vista turistico. Velardi serra i denti. «Sì, funziona. Però stiamo attenti. La Napoli della cartolina fa piacere vederla a tutti, pure al turismo di piccolo cabotaggio. All’epoca veniva a Napoli il grande artista contemporaneo, oggi frotte di turisti che vanno in bed and breakfast magari al nero, mangiano la pizza a tre euro. Che va bene, va benissimo, non voglio negare la crescita turistica di Napoli, sarebbe sciocco, ma avviene in un quadro di ridimensionamento della città. E qui la colpa non può essere solo di de Magistris o di De Laurentiis. I cosiddetti intellettuali, i cosiddetti sottolineato sette volte, non fanno altro che lavorare su questa immagine stereotipata di Napoli, non riescono a venirne fuori. Napoli ha bisogno di essere trainata. Qui l’oleografia è sempre dietro l’angolo. Serve qualcuno che si assuma il rischio di essere impopolare, altrimenti questa spirale non si fermerà. Perciò ho fatto il riferimento alle dieci pagine del Mattino».

Il punto di rottura del bassolinismo

E quando gli fa comodo, De Laurentiis si accoda. La stampa del Nord bistratta Napoli? E, soprattutto, come fece Bassolino a riuscire a ottenere a livello nazionale una rappresentazione mediatica che a un certo punto sembrava persino migliore della realtà stessa?

«Beh, ebbe anche culo. Anche. Perché si ritrovò il G7, venivamo da un periodo nero, Tangentopoli, sfruttò bene la voglia di Napoli. Fu certamente abile e poi, ripeto, non si ripiegò su sé stesso. Fino a un certo punto. Quando poi ripose l’idea di voler trasformare Napoli e si mise “semplicemente” a governarla. Il cambio di rotta avvenne lì, il resto sono state conseguenze i cui effetti si sono visti dopo anni. Io però francamente non credo a una stampa che bistratta Napoli. Mi sembra una stupidaggine colossale. Il giornalismo si basa sui luoghi comuni e Napoli in questo è imbattibile. Ma oggi, ripeto, non fa più nulla per uscirne».

Se Romeo fosse stato milanese

Però, cerchiamo di stanarlo, magari se Alfredo Romeo fosse stato un imprenditore milanese, la sua immagine sarebbe stata diversa. Qui Velardi si scalda: «Romeo, adesso, è solo l’arma per commettere un omicidio politico. Poi, magari, nelle intercettazioni l’imprenditore milanese non parla in dialetto oppure ha l’abito grisaglia invece che quelle camicie dal collo largo col foulard, ma credo che cambi poco. De Laurentiis ha avuto un’uscita populistica. Poi, chi più di lui conosce gli imprenditori napoletani? Preferiscono costruirsi rapporti personali con i media che contano invece di rischiare nella costruzione di un giornale che comporterebbe non pochi rischi d’impresa. Come del resto anche la storia del Napolista testimonia».

Sorridiamo. E Velardi prosegue: «Altrimenti, e torniamo a bomba, non ci sarebbero il papponismo né la critica a un’impresa che funziona. È un discorso ampio. Dico l’ultima cosa. Tutti voi siete impazziti per lo spettacolo dell’altra sera, il San Paolo pieno e tutta la retorica conseguente. La verità, però, è che non era affatto uno spettacolo allegro. Il San Paolo, ma anche altri stadi italiani, sono grigi, cupi, tetri, non ci sono colori. Nulla che invogli alla partecipazione di un evento spettacolare. Il punto è lo stadio di proprietà, fondamentale per il definitivo salto di qualità, per provare realmente a vincere. Anche a livello comunicativo lo stadio è importante, curato, con una coreografia televisiva. Perché oggi il calcio si diffonde attraverso la tv. In questo, il calcio italiano è arretrato come del resto lo è il Paese. Eppure a Napoli da giorni impera la retorica del San Paolo. Come quella di un grandissimo primo tempo, senza nessuno che alzi il dito e dica: “scusate, ma forse si poteva fare qualcosa di più rispetto a prendere due gol su calcio d’angolo?”. Ma qui entriamo in un campo realmente minato. Fermiamoci».

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