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Al Napoli manca un centro di gravità permanente

Il Napoli è più forte della propria autostima, come dimostra il timore di Spalletti. Impiega mesi per capire di aver chiuso un signor mercato, lava i panni sporchi in piazza e asseconda troppo l’ambiente.

Al Napoli manca un centro di gravità permanente

La lezione di Spalletti

Il meglio di sé, ieri, Luciano Spalletti lo ha dato in conferenza stampa. Ha chiuso elogiando l’arbitro Banti. E ha risposto alle domande dei giornalisti e sottolineando il diverso atteggiamento in relazione al risultato. E in effetti è difficile dargli torto. A Milano è stato un padreterno, contro il Napoli uno sprovveduto. Poi, magari, Reina non riusciva nel miracolo e si sarebbe detto altro. Spalletti ci ha messo comunque del suo nel perdere contro Sarri. Ma il suo atteggiamento è stato rivelatore della forza del Napoli. Il buon Luciano ha – giustamente – temuto  il Napoli. Lui non ha mai creduto alla crisi degli azzurri. Ha cambiato la Roma e ha finito col perdere.

Ha ragione, però, Spalletti a sottolineare come il comportamento dei media cambi col risultato. Risultato che enfatizza tutto. Reina oggi è giustamente un eroe. Bisogna ricordare che è lo stesso uscito a vuoto in Coppa Italia contro la Juventus e lo stesso che pochi minuti prima del paratone aveva consegnato alla Roma una comoda ripartenza finita sul palo.

Troppe divisioni e troppo rumore a ogni passo falso

Vale anche per il Napoli. Che non era diventata una squadra di brocchi dopo tre sconfitte in quattro partite. Una squadra, però, un ambiente, una società che fatica a trovare la propria stabilità, il proprio centro di gravità permanente. Se c’è un difetto cronico in questo Napoli, è che fatica troppo a riaversi dalle contingenze negative. Impiega mesi a comprendere di aver messo a segno una delle migliori campagne acquisti – se non la migliore – della gestione De Laurentiis (aveva ragione il presidente a battersi per i nuovi acquisti inizialmente molto poco considerati). L’ambiente si divide, persino gli attori della vicenda giocano ruoli contrapposti. Occorrono quasi sei mesi per essere d’accordo sull’ottimo lavoro di Giuntoli che ha portato a casa tre signori centrocampisti (Zielinski, Rog, Diawara), un attaccante di sicuro talento, più Giaccherini, Maksimovic e Tonelli.

Un signor mercato firmato Giuntoli

Altrove, lo abbiamo già scritto più volte, i giovani di 21-22 anni giocano. Giocano sempre. Per altrove intendiamo all’estero. Perché così crescono. E crescono sbagliando. Del resto, sbagliano anche quelli più maturi come abbiamo visto con Reina. Anche nel Napoli di Maradona era così. Ciro Ferrara raccontò in un’intervista il suo esordio al San Paolo contro la Juventus. Marcò Boniek e non gli fece toccare palle. Poi – ricordò – la domenica a Udine un certo Montesano non gliela fece mai vedere. Succede. Col tempo, Ferrara se li è divorati i Montesano. Resta il fatto che Napoli e il Napoli hanno smarrito troppe energie per essere fieri degli acquisti estivi. Troppe lacrime versate per Higuain, l’affare del secolo. E Sarri ci ha messo del suo.

Così come ce lo ha messo De Laurentiis dopo Madrid. E nella gestione del post Juventus-Napoli. Il Napoli ha ripetuto lo stesso canovaccio delle ultime stagioni. Ha perso la testa prima in campo, con una gestione scellerata dell’incontro di Coppa dopo l’1-1, e poi fuori con un mulinare vorticoso di tweet e dichiarazioni che sono parsi – in modo preoccupante – fuori controllo.

Il Napoli è più forte della propria autostima

Per fortuna, il Napoli è forte, ben più forte della stima che ha di sé. E lo dimostra il timore di Spalletti. E ovviamente la prestazione fornita a Roma. E anche il risultato. Anche in questo caso, come per la Coppa Italia, per migliorarsi bisogna focalizzare l’attenzione sugli errori commessi. E l’errore principale è stato senza dubbio l’aver contribuito a riaprire una partita che a sei minuti dal novantesimo era bella che chiusa. Poi è finita 2-1 per noi, ma avremmo potuto pareggiare. E avremo potuto pareggiare per un calo d’attenzione. E perché proprio non riusciamo a gestire la partita, ad addormentarla. È sulle proprie lacune che deve lavorare il Napoli per salire ulteriormente di livello.

Il Napoli, lo abbiamo scritto più volte, non deve dimostrare proprio niente. Dovrebbe soltanto avere un po’ più di amor proprio. Dovrebbe volersi più bene. Dovrebbe resistere alla tentazione di lavare sempre i panni in pubblica piazza. E anche a quella di sobillare l’ambiente o di assecondarlo. Un ambiente va anche guidato. È qui che il Napoli deve lavorare, così come sulla gestione della partita o sul riuscire a vincere le partite anche senza dare lesione di estetica per novanta minuti. Questa è una signora squadra ed è anche una società forte. Ma devono crescere l’una e l’altra. E il primo passo è diventare consapevoli del proprio valore. Altrimenti al minimo passo falso, si rischia di ripartire ogni volta daccapo.

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