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Perché il Napoli ha subito gol in 24 partite su 31

Momenti di blackout, attimi di mancate connessioni logiche e tattiche in campo. Gran parte delle reti incassate sono episodi, su cui è possibile lavorare.

Perché il Napoli ha subito gol in 24 partite su 31

Statistiche e realtà

Il Napoli ha vinto 7-1, ode al Napoli. Lo facciamo da ieri sera, non possiamo esimerci e figurarsi se l’abbiamo fatto. Siamo felici, siamo contenti, siamo consapevoli che la partita di Bologna resterà un unicum per tanti anni. Però, offre uno spunto di riflessione controcorrente. È la settima partita consecutiva in campionato con gol al passivo, la 24esima stagionale su 31. In campionato solo 5 volte il Napoli non ha subito reti. Il totale dei gol subiti in Serie A, del resto, non mente: ai 55 gol fatti, il Napoli ne oppone 26. Per una differenza reti di +29, la più alta dei 20 club del campionato. La Juventus, pur avendo segnato “solo” 44 gol, ha una differenza reti di +28. È infatti ferma a 16 gol subiti.

Dieci gol di differenza che, come spiegato molte volte anche dal nostro data analyst Fabio Fin nei suoi articoli di approfondimento, spiegano i punti che separano il Napoli dal primo posto. Il paradosso è che questa mancanza di solidità difensiva non è una criticità reale, o comunque assoluta, della squadra di Sarri. Che ieri sera ha giocato una partita da 17 conclusioni concesse all’avversario. Ma che, anche dopo questa partita, mantiene una media di 9,8 tiri subiti a partita. La seconda del campionato. Prima è la Juventus con 8.6. Con un rapidissimo ed elementare calcolo matematico, si arriva a una cifra precisa: il Napoli subisce un gol ogni 8 tiri concessi all’avversario. Una quota troppo bassa. Che vuol dire sostanzialmente una cosa: le conclusioni concesse dal Napoli sono troppo semplici da realizzare. Sono occasioni troppo pulite. Sono dei veri e propri blackout. Che, ora, proviamo ad analizzare.

Contestualizzazione

I dati vanno contestualizzati. Così come le idee, i concetti, le opinioni. Tutto. Quindi, vediamo questi gol subiti. Quello contro il Pescara, ad esempio, fa solo numero. È un calcio di rigore concesso al 93esimo dopo una partita dominata, da zero occasioni vere concesse. Possiamo dire la stessa cosa di quello contro lo Spezia, in Coppa Italia. Tra l’altro, quello fu pure aiutato da una deviazione. Possiamo dire la stessa cosa dei tre gollonzi concessi al Benfica. Però, tutto questo non fa che confermare la nostra tesi di partenza: il Napoli soffre a livello di testa, in alcuni momenti della partita. Che non hanno collocazione temporale fissa, ma sono veri e propri attimi di smarrimento, di perdita di distanze e automatismi. Attimi rari, improvvisi, ma sempre decisivi. Soprattutto quando sei una squadra di alto livello e pratichi un gioco strutturato, in cui dieci giocatori di movimento partecipano alla fase difensiva.

Uno di questi gol subiti, tra l’altro uno determinante per un risultato, fu analizzato dal Napolista proprio a livello di vivisezione delle immagini. Quello contro il Sassuolo, in una partita che Sarri porta sempre come esempio per identificare un match dominato dal punto di vista del palleggio e della distribuzione territoriale. Scrivemmo così: «Il gol dei neroverdi nasce da un atteggiamento, quello del Napoli, non consono per una squadra che vuole giocare in un certo modo. […] Al Napoli occorre una brillantezza atletica e di gioco lunga 90′ per conquistare tre punti in qualsiasi partita. E questo è un limite». Non è cambiato granché, e vediamo perché.

Il Napoli è schierato in maniera perfetta secondo i dettami del 4-3-3 (4-5-1 in fase difensiva) privo di un uomo, con due linee alte e compatte che non offrono profondità. A questo punto, parte una catena di errori. Pulgar sulla destra ha troppo spazio, Insigne guarda Torosidis senza accorgersi del cileno e quindi senza accorciare su di lui. Il 5 del Bologna avrà tutto il tempo di calibrare il cross. Dall’altra parte, Zielinski tiene bene la posizione.

Sul cross di Pulgar, il polacco è però poco lesto ad accorgersi del taglio alle sue spalle dell’esterno rossoblù, mentre Hysaj si fa risucchiare al centro in una marcatura inutile: i centrali del Napoli più Ghoulam sono in parità numerica. Inoltre, il pallone viene “calcolato” male dal terzino albanese: è troppo alto per poter spiovere a centro area, quindi il suo posizionamento è sbagliato due volte. La mancata chiusura di Zielinski – a sua discolpa, qui, il fatto che di solito è Callejon e fare questo lavoro di esterno destro basso in appoggio – permette a Krejci di battere facilmente verso la porta.

Come abbiamo potuto vedere, il Napoli subisce gol in una situazione di gioco posizionale semplice da leggere. A causa di una catena di errori di lettura e spaziatura. Nessuno scompenso grave (del resto, anche il Bologna era in dieci) eppure c’è la sensazione che la squadra avversaria possa essere sempre pericolosa, basta un cross a mettere in crisi il dispositivo difensivo.

Un’azione come questa, pur in un contesto temporale e di gioco completamente diverso, è parente stretta dell’errore di Koulibaly con la Roma, di Jorginho contro il Besiktas, di Jorginho e Tonelli contro il Milan, di Maksimovic contro la Fiorentina. Fanno tutti parte della stessa famiglia: secondi di panico e mancati collegamenti mentali e tattici che diventano fatali. E che offrono quelle conclusioni facili di cui sopra, quelle dei gol subiti.

Passato e presente

Cominciamo col chiarire che concedere 9,8 tiri a partita non è uno scandalo. Soprattutto quando la qualità del gioco offensivo è così alta, così varia, così riconosciuta anche nei numeri. Un’analisi interessante è quella relativa al confronto con lo scorso campionato (19 gol subiti alla 23esima) e alla media gol subiti del Napoli con Milik (alla settima giornata, 6 gol subiti di cui 4 nei primi due match). Ovvero, mettere a paragone una squadra con un centravanti vero e una squadra con Mertens.

Voi direte: e cosa c’entra, con la difesa? C’entra, eccome. Il Napoli di Sarri ha un’organizzazione talmente profonda, e talmente complessa e complessiva, che il centravanti fa parte a pienissimo titolo del dispositivo difensivo. Perché influenza i movimenti, quindi il dispendio di energie, di chi gli gira intorno. Dagli esterni in giù, come abbiamo visto – e com’è facile immaginare -, tutti i calciatori di movimento del Napoli sono coinvolti nella fase di recupero del pallone. All’aumentare del dispendio fisico per attaccare (una cosa che alla squadra di Sarri riesce abbastanza bene), diminuiscono energia e lucidità per la fase difensiva.

Presente e futuro

È la lucidità, soprattutto quella, ad aggravare il peso della gabella tattica a cui è costretto il Napoli. Una squadra frizzante per forza, perché ha grandi giocatori davanti. E che, proprio per questo, è fatalmente costretta a concedere qualcosa dietro. Non per carenze o difetti nel dispositivo, ma per incapacità di essere collegati per 90′ alla partita, ai compiti da assolvere in nome della squadra. In nome dell’equilibrio. Un lavoro fondamentale in vista del Real Madrid, di un finale di stagione in cui gli impegni (e quindi le possibilità) saranno molteplici. Un lavoro fondamentale in vista del futuro, perché questa è una squadra che può realmente puntare a vincere. Solo che serve subire ancora di meno, limitare ancora di più le possibilità concesse alle altre squadre.

Il lavoro da fare è soprattutto mentale e d’esperienza. Di abitudine alla pressione. Un upgrade da innestare su un sistema ormai rodato e capace di giocare con un centravanti classico-aggregativo (Higuain, e Milik in piccolo), con un centravanti tecnico (Mertens) e che ora deve imparare a farlo con una prima punta di stampo classico (Pavoletti). Per darsi alternative, per essere grande in tutti i modi.  Da lì in poi, discenderà a pioggia l’aumento della percentuale di successo difensiva. La solidità è un’ipotesi che esiste, che va solo dilatata a tutta la partita. Il passo più difficile, anche perché è quello che conduce alla perfezione.

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