Ci indigniamo perché non rispetta le liturgie calcistiche, nemmeno a Madrid. Lui vuole guadagnare e ce lo sbatte in faccia. E noi non lo sopportiamo
“Il ragazzo coccodè”
“Il ragazzo coccodè” è il titolo di un indimenticabile editoriale – credo domenicale – di Eugenio Scalfari. Precedeva, di qualche settimana, il 27 marzo del 1994 giorno delle elezioni politiche. Era l’ennesimo di n alla decima articoli scritti con l’intento di deridere Silvio Berlusconi l’imprenditore ganassa che nulla sapeva di politica e osava sfidare chi la sapeva lunga ma – ammonivano gli eletti – la politica è una cosa, i consigli d’amministrazione con le risate a comando un’altra. Sappiamo bene come andò a finire non solo quel giorno, ma anche i vent’anni successivi.
Ecco, accade qualcosa di strano anche per Aurelio De Laurentiis. Questa mattina Vincenzo Imperatore sul Napolista ci ha riportati alla realtà: lui mette i soldi, lui parla. Non solo, ma è senza concorrenza, perché al momento di andare alla cassa De Laurentiis è un uomo solo. Una verità inoppugnabile che il mondo del calcio, del tifo – tutti noi – non vuole accettare. Perché De Laurentiis non rispetta la liturgia pallonara. E in fondo non glielo perdoniamo.
L’uomo che non conosce la regola del fuorigioco
Non gli perdoniamo che lui, che non conosceva la regola del fuorigioco (e magari ancora non lo conosce), che parla di tattica con la stessa competenza che potremmo avere noi nel conversare di fisica quantistica, stia lì a farci fare “brutta figura”. Perché per noi, competenti, di questo si tratta. Siamo convinti di saperne più di lui. Siamo convinti che in fondo lui è soprattutto fortunato. La cultura d’impresa, in fondo, la consideriamo un optional.
Non gli perdoniamo il mancato rispetto nei confronti del mondo farisaico del pallone. La frase non è mia, è di un amico che non ama il calcio e che questa mattina mi ha scritto per dirmi: “Finalmente avete pubblicato un articolo in favore di De Laurentiis. Anche tu ti sei accodato, perché in fondo sei come loro. Tutti zitti che non si disturba il prete in chiesa, c’è la messa e voi non potete distrarvi”.
Provo a obiettare e mi rendo conto che sto andando sul terreno della competenza calcistica. Voglio far pesare che “io ne capisco e lui no”.
L’amico che non segue il calcio
L’amico a-calcistico incalza: «Voi siete andati a vedere una partita, entusiasti, sapendo che avreste perso. Siete tornati contenti perché siete andati in vantaggio, perché avete messo paura al Real Madrid e perché avete ricevuto i complimenti della stampa italiana e spagnola. Capisci che non c’è nulla di imprenditoriale in tutto questo? Tu, nonostante la malattia che ti acceca, puoi ancora capirlo. De Laurentiis squarcia il velo. Voi volete divertirvi, lui vuole guadagnare. E lo dice! Dice quanto ha speso. E vuole far fruttare i soldi spesi. È logico in qualsiasi campo che non sia il calcio. È normale. Un’ultima cosa: Napoli non lo accetterà mai, ma a Napoli servirebbero più persone così, che non si accodano, che non rispettano le liturgie».
Rifletto e non posso che dargli ragione. La reazione del mondo calcistico – la Gazzetta, Repubblica, Sacchi, i tifosi, lo stesso Napolista me compreso – lo conferma. In fin dei conti, il Napolista è considerato filo De Laurentiis perché gli riconosce grandi meriti. È impossibile, a nostro avviso, non riconoscerglieli. Del resto, quando andiamo in giro per l’Italia non c’è persona che non si mostri sorpreso dalle critiche dei tifosi del Napoli al suo presidente. Il leit-motiv è sempre lo stesso: “Ma che avete da lamentarvi?”.
Sempre e solo fortunato
Soltanto noi non riusciamo a vedere che cosa ha fatto quest’uomo. Consideriamo fortunato, sprovveduto, un signore che col calcio Napoli ha costruito un’impresa che funziona e frutta, che ha raggiunto risultati mai visti a parte Maradona. Che è tra le prime venti società d’Europa, che ha giocato – e spesso battuto – contro mostri sacri come Chelsea, Borussia Dortmund, Manchester City, Bayern Monaco, Arsenal, Benfica, Real Madrid. Insomma, che ha portato il Napoli in una dimensione sconosciuta e con una continuità mai avuta prima (nemmeno ai tempi di Diego).
Non riusciamo a capacitarci che ci sia riuscito un uomo che non conosce il fuorigioco. E ogni volta non accettiamo il suo essere ateo calcisticamente, estraneo alle liturgie calcistiche. E ovviamente per fini di lucro. Lui il denaro ce lo sbatte in faccia. Vuole guadagnare. Punto. Senza ipocrisia. E quando fa l’ipocrita, lo fa in maniera evidentemente sfacciata da apparire falso a chilometri di distanza. Non ci fa fare brutta figura, ci consente si divertirci.
Ha sempre avuto ragione
De Laurentiis guarda il calcio da un’altra angolazione. E ha sempre avuto ragione lui. Noi stiamo lì col ditino alzato a spiegargli il calcio, la comunicazione, e tutto il resto. Lui fa di testa sua e ha creato una società che funziona. Piccola, a conduzione familiare, ma funziona. Oggi una delle realtà napoletane più competitive. L’ha creata dal nulla. Perché i sei (sei?) milioni di tifosi nel mondo ci sono sempre stati. Ma il Napoli non è mai stato così in alto.
Col tempo, ci volle molto, anche l’universo politico italiano cominciò a fare i conti col modello Berlusconi, fino a rimanerne quasi soggiogato. Sono trascorsi tredici anni e la Napoli calcistica ancora non vuole rassegnarsi. Forse sarebbe il caso di chiedersi se De Laurentiis non abbia qualche ragione. E qualche ragione è chiaramente un eufemismo.