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Si stava meglio quando (una madre, un mister, una scuola calcio)

Il racconto amaro di un istruttore immerso nei suoi pensieri e poi “convocato” da una donna che ha qualcosa da dirgli

Si stava meglio quando (una madre, un mister, una scuola calcio)

Quando in campi erano in terra

Si stava meglio quando a dodici anni dovevi prenderti due pullman da solo per arrivare al campo.

Si stava meglio quando i campi erano in terra battuta e ci sporcavamo.

Si stava meglio quando tutti ci facevamo la doccia al campo.

Si stava meglio quando quei pochi papà che accompagnavano i figli al campo poi se ne andavano a fare qualche servizio o sfruttavano quell’oretta per vedersi con l’amante.

Si stava meglio quando negli spogliatoi come appendiabiti c’erano i chiodi nel muro.

Si stava meglio quando nessuno di noi ragazzini aveva la presunzione di mettere in discussione quello che diceva il mister e la scostumatezza di mandarlo affanculo.

Si stava meglio quando le esultanze le inventavamo noi e non scimmiottavamo quelle che vedevamo in tivvù.

Si stava meglio quando 10 palloni erano un dono prezioso e noi li custodivamo come reliquie sacre.

Si stava meglio quando una maglia bianca di cotone col numero dietro scritto a pennarello era la più bella divisa mai esistita.

Si stava meglio quando un gol vittoria voleva dire una gazzosa da 50 lire.

Si stava meglio quando il Super Santos era il mio migliore amico.

Si stava meglio quando i più scarsi andavano in porta. E nessuno s’è mai offeso o suicidato per questo.

Si stava meglio quando gli unici “Procuratori” che si vedevano sui campi erano alcuni nonni che, in memoria di vecchie tradizioni al termine di un allenamento piovoso, ci “procuravano” una tazza di tè caldo.

Si stava meglio quando il primo “buonasera” era quello rivolto al vecchio custode del campo.

Si stava meglio quando io e Alessandro ci trattenevamo a calciare punizioni al termine dell’allenamento.

Si stava meglio quando la borsa ce la preparavamo da soli.

Si stava meglio quel Natale che, sotto l’albero, trovai la pantofola d’oro, la scarpetta più bella mai esistita.

Si stava meglio quando i 3-contro-3 o i 4-contro-4 per strada erano all’ultimo sangue.

Si stava meglio quando alle 8 di sera tornavo a casa e mia mamma non mi riconosceva per quanto fossi sporco.

Si stava meglio quando dovevamo scavalcare per recuperare il pallone finito nel balcone.

Il mister sta pensando tutto questo mentre fissa il tappeto verde su cui è tutto pronto per cominciare l’allenamento. Sente le voci dei ragazzi nello spogliatoio. Poi vede una donna. La riconosce. È la mamma di uno dei suoi ragazzi. La signora alza l’indice della mano destra e gli chiede se può avvicinarsi alla rete di recinzione perché deve chiedergli una cosa.

Mentre taglia il campo il mister prova a indovinare cosa voglia quella signora. Ripassa l’ultimo mese in pochi secondi. Prova a ricordare se c’è stato qualche episodio sopra le righe con il figlio che però, ha sedici anni, ed eventualmente potrebbe dirgliele lui le cose. Prova a ricordare se in qualche circostanza sia stato troppo duro. Niente. Non trova niente. Ha la coscienza a posto. Si rilassa. Quando è vicino alla rete sorride fintamente cortese mentre nota il rossetto rosso fuoco e un fresco profumo gli invade le narici. Lo riconosce subito: è lo stesso Cartier che ha regalato alla moglie a Pasqua.

“Mister posso chiederle una cosa?” fa la signora toccandosi i capelli e sorridendo imbarazzata.

Il mister ha pochi capelli. E quelli che gli son rimasti sono quasi tutti bianchi. Ne ha viste di cotte e di crude. Sono 30 anni che è sui campi. Ma negli ultimi tre o quattro anni ha riscontrato un grande peggioramento di tutto l’ambiente. Di tutto il sistema. Ha visto procuratori correre dietro a ragazzini di 12 anni. Ha visto allenatori promettere la luna pur di strappare ragazzini promettenti ad altri allenatori. Ha visto papà folli che sostengono che il figlio è un trequartista, dimenticando che il figlio ha 7 anni. Non sa cosa aspettarsi ancora.

“Dica signora…” fa con ancora il sorriso fintamente gentile stampato in viso.

“Non è per fare polemica…ma io credo che in una squadra di ragazzi la fascia di capitano debba girare…i ragazzi a turno dovrebbero fare il capitano…”

“Signora, se suo figlio ha qualche problema non crede debba venire a dirmelo lui, ormai ha sedici anni.”

“No mister, mio figlio non ha problemi…anzi, mio figlio non sa niente, era un mio pensiero…”

“Non pensi signora…o se proprio vuole, pensi ad altro…” chiude il mister senza più l’ombra di sorrisi gentili sul volto.

La mamma offesa si volta e se ne va. Il mister nota i tacchi rossi, poi più su un culo tondo e pieno che ancheggia indispettito, allora si volta verso il campo a guardare le stazioni, a controllare con un’occhiata le distanze tra gli attrezzi.

Dov’ero rimasto – torna a pensare il mister – ah ecco…si stava meglio quando si stava peggio.

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