ilNapolista

Pino Daniele, anche Troisi o Maradona, i miti li confezioniamo come piace a noi

Riguardare la sua ultima intervista a Red Ronnie e pensare all’isolamento nel quale conserviamo i nostri miti per confinare in sicurezza i nostri ricordi.

Pino Daniele, anche Troisi o Maradona, i miti li confezioniamo come piace a noi
Pino Daniele nella sua ultima intervista a Red Ronnie

Il video con Red Ronnie

Qualche giorno fa, tra i video che giravano in rete in occasione del secondo anniversario della sua morte, ho trovato questa intervista a Pino Daniele. Una delle sue ultime. Non c’è Minà negli studi della Rai ma Red Ronnie con la sua videocamera personale. Mentre ascoltavo la sua voce mi commuoveva l’isolamento nel quale conserviamo i nostri miti per confinare in sicurezza i nostri ricordi, smozzicandone la vita, raccontando ciò che supporta i nostri sogni invecchiati e dimenticando selettivamente e progressivamente quanto provoca loro qualche imbarazzo. Come fossimo dei malati di Alzheimer dei sentimenti.

Suonare con Bonamassa e Clapton

Pino Daniele lo ribadisce più volte, sereno e disincantato ma anche avvolto da una strana solitudine: la musica è un codice e tutto ciò che egli aspira ad essere è un suo devoto amanuense, mentre ripassa i movimenti alla mano sinistra come un qualunque musicista e ripercorre quel canone artistico che lo ha portato a Chicago nel 2010 a condividere il palco del Crossroads Guitar Festival con Bonamassa e Clapton. La cosa più bella che abbia fatto, confida. Ha solo scoperto nel tempo il crocicchio universale che aveva in animo e che si chiama Blues.

Il suo essere vegetariano

È un Pino Daniele lontano, ma anche libero e inquieto, quando lo costringono a tornare a Napul’è. Mostra la giusta gratitudine ma anche un’evidente insofferenza per la città di cui sarebbe potuto essere sovrano – qui un sorriso gli taglia il viso – ma essere re incoronato della quale a lui non frega tutto sommato niente. Chissà che effetto fa ascoltare Pino Daniele discutere del suo essere vegetariano, l’attenzione nell’evitare proteine animali, in una social-società che, al netto delle solite insulse degenerazioni modaiole, rigetta i vegani come fossero appestati, con la tipica arroganza con la quale le maggioranze si dicono messe in pericolo dalle minoranze.

Trenta minuti commoventi, nei quali si scorge il cammino di un artista vero che non si è mai seduto a riscuotere. Ha solo scelto strade che noi abbiamo tutto sommato dimenticato, o ignorato, ritenendole meno espressive, meno potenti, quasi imborghesite. Lo abbiamo fatto con tutti, quasi sempre per convenienza.

Di Troisi non si ricorda Capitan Fracassa

Così di Troisi pochi ricordano Il viaggio di Capitan Fracassa, per dirne una. Eppure anche Troisi ha in rete una splendida intervista, poco nota, nella quale riconsidera con splendida profondità la sua attività giovanile come incompleta (“mi sbagliavo perché seguivo la comicità sbagliata, già allora bastava allontanarsi e andare in un teatro e vedere Dario Fo, dire cose indigeste con l’unica tassa da pagare che era quella di non rientrare nella comicità ufficiale. Ma io rientravo in quella comicità…”), inesperta e per questo anche forse arrogante – giovanile, insomma. Proprio come Pino Daniele quando confessa di aver creduto ingenuamente che la musica cambiasse il mondo, per poi scoprire ciò che ogni grande artista ritrova in sé – che l’arte e la realtà tra loro si combattono ma non si sfiorano.

Dimenticare quanto non fa comodo non è una peculiarità del Golfo. L’arte è tutta divisa così. Per ogni autore si individua il capolavoro centrale e la fine inutilmente manierista. Il classico e l’ellenistico. Quest’ultimo è sempre imperfetto, crepuscolare, una copia sbiadita, una eco involuta. La metrica sull’arte la scegliamo noi, che artisti non siamo. Metriche conservative e conservatrici, per illuderci di non essere invecchiati, o solo per preservare nelle nostre personali edicole votive i tempi della nostra nostalgia. Laudator temporis acti dicevano i latini senza perder tempo.

Sorrentino e Maradona

Il Pino Daniele crepuscolare suona Going Down di Don Nix. Era nato per quello, Napoli gli ha dato la sensibilità giusta per riconoscere e lavorare al proprio talento. Poi quella gioventù non gli è stata sufficiente. Ultimamente di Napoli era turista, con i figli, sul lungomare. Mi ricorda quanto ha detto Sorrentino in una recente intervista rilasciata a Minoli, che gli chiedeva perché avesse salutato e ringraziato Maradona alla notte degli Oscar. “Perché è stato la mia adolescenza segnata nel bene”. Di quel bene, trasfigurato, lui ne ha fatto un film mondiale. Una prospettiva più concreta e mondana che celebrarne lo stanco trentennale, come in quelle disperate riunioni di ex compagni di scuola ormai cinquantenni.

ilnapolista © riproduzione riservata