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Peppino Calise il cronista che avrebbe fatto fatica a convivere con Google

È morto lo storico capocronista del Mattino. Sapeva dove cercare la notizia e la difendeva. Il dolore per Siani. L’errore (che non difese) con Mattera.

Peppino Calise il cronista che avrebbe fatto fatica a convivere con Google
Peppino Calise

Il tesserino tra i denti

È morto il cronista. Senza aggettivi. Il cronista fedele esclusivamente al dovere di dare la notizia. È morto Giuseppe Calise, sangue caldo dominato da una tensione che lentamente – e fino alla morte – lo ha bruciato non è mai venuto meno al suo compito.

Ho lavorato fianco a fianco con lui per più di vent’anni, l’ho visto slanciarsi sulla preda e sbranarla grazie ad un coraggio che veniva da lontano e ad un istinto primordiale che quasi l’obbligava a fare quello che faceva. Non riesco a immaginarlo in posizione supina, sconfitto, incapace di replicare all’attacco. E per questo preferisco salutarlo mentre si avvia, taccuino in mano e tesserino tra i denti – era una espressione che gli era cara – per l’ultimo resoconto. Sono convinto, infatti, che prima dell’ultimo respiro, in un lampo, l’ultimo, di quella lucidità prima fulminante che da un po’ di tempo aveva deciso di abbandonarlo, si sarà detto: Peppì jammo a vedere cosa è successo dall’altra parte.

Una vita al Mattino

È uno scenario irreale, ne sono consapevole, ma chi ha conosciuto Giuseppe Calise, cronista porticese che ha sciacquato i panni professionali nel Lambro e nel Po prima di approdare al Mattino, sa che non stiamo esagerando. Ho commentato allo stesso modo la scomparsa di Gianni Campili, il capocronista di Peppino ma, più ancora, il compagno di una vita spesa quasi tutta a via Chiatamone trascurando altri doveri: anche Gianni, infatti, è stato uno splendido animale da giornale, uno di quelli, non se ne abbiano i colleghi più giovani, che farebbe fatica a convivere, quanto non a dipendere, da Google. O da un’altra roba di questo genere. Perché Calise, come Gianni, la notizia l’andava a cercare, la difendeva con i denti. E il più delle volte sapeva dove trovarla. Dopo, nella sua seconda vita, coltivò anche lombrichi. Ma questa è un’altra storia.

Non difese mai il suo errore con Mattera

Non sempre, però, le cose sono andate per il verso giusto ed anche questo è comprensibile trattandosi di un giornalista che ha sempre vissuto in trincea esposto al fuoco incrociato: l’altra metà di Peppino qualche volta è stata vittima del suo stesso impeto – penso all’episodio strillatissimo dell’intercettazione di una telefonata con il questore del tempo, Mattera, che, tra l’altro si rivelò il primo caso di intercettazione abusiva – ma posso affermare senza tema di essere smentito che a Calise vada riconosciuto il merito di non aver mai “difeso” il suo errore: lo ha ammesso e ha corretto il tiro. Come fanno i cronisti che giustamente sono stati definiti gli storici dell’istante, obbligati, cioè, a raccontare la verità di quel momento, senza aspettare quella che verrà.

Le sue inchieste

Le sue inchieste stanno lì a dimostrarlo: basta sfogliare le collezioni che custodiscono le cronache dei grandi avvenimenti che hanno attraversato la sua e la nostra strada: la strage di via Caravaggio, il contrabbando, la corruzione politica che non era ancora diventata industria del male ma era già fortissima e presente in tutti i settori. E poi l’omicidio di Anna Grimaldi che fece tremare in tutti i sensi l’edificio del giornale e, infine, il barbaro assassinio di Giancarlo Siani, il nostro splendido ragazzo di bottega che ha pagato, forse, per la sua inesperienza, ma, di certo, ha indicato agli inquirenti la strada da seguire.

Giancarlo Siani

La sera del 23 settembre del 1985 è un macigno che mi porto sulle spalle. Non me ne libererò mai e ora che anche Peppino se n’è andato il suo peso sarà insopportabile. Quando, intorno alle 22, Peppino informò il direttore Pasquale Nonno di un agguato mortale ad un giornalista del Mattino – che si trattava di Giancarlo lo avremmo saputo qualche minuto dopo – saltammo dalla sedia del teatro romano di Baia e ci precipitammo al giornale.

Colse la verità di quel momento

Peppino era a piazza Leonardo e non si staccherà mai più dal punto in cui i due killer avevano ucciso Giancarlo. Scrisse anche un libro, commissionatogli dal giornale, e, al solito, non ebbe esitazioni nell’interpretare il momento topico della drammatica vicenda: Giancarlo Siani, corrispondente da Torre Annunziata, si era occupato, scrisse Calise, con servizi puntuali e martellanti del clan di Valentino Gionta e il suo puntiglio, sorretto dal rigore del cronista in formazione ma già esperto, poteva aver dato fastidio al boss vesuviano. Era la verità di “quel” momento e Calise l’aveva colta. Come sempre.

Cosa resterà di tanto zelo? Forse niente, ma noi confidiamo che il seme è stato piantato e la terra del cronista darà sempre qualche buon frutto.

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