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Sarri è il genitore che cerca di proteggere il figlio-Napoli. Ma i figli crescono e bisogna capirlo

Non è il momento di giocare a chi aveva ragione, solo quello di compattarsi. Il Napoli è forte, deve solo prenderne consapevolezza.

Sarri è il genitore che cerca di proteggere il figlio-Napoli. Ma i figli crescono e bisogna capirlo

Tre sconfitte consecutive fanno una crisi? La semplificazione sembra atto dovuto. E il Napoli non ne è esente. Tre sconfitte, sette gol subiti, appena tre segnati, due sconfitte casalinghe consecutive (probabilmente un primato che non veniva eguagliato da un bel po’). Una serie che dovrebbe indurre a pensieri catastrofisti. Così come la visita non proprio serena di Aurelio De Laurentiis negli spogliatoi, con sullo sfondo lo scontro che dura da questa estate tra il presidente che è convinto di avere una squadra più forte dello scorso anno e l’allenatore che invita da sempre alla prudenza e talvolta lo ha fatto con un tempismo da masochisti.

Non sappiamo se sia più tempo di schierarsi in una fazione o nell’altra. Noi, almeno chi scrive, da sempre appartiene alla prima ma francamente non se la sente di attaccare Sarri o almeno non più di tanto.

Nessuno desidera perdere. Nessun allenatore schiererebbe mai una formazione senza avere la certezza che sia la più forte possibile. Sarri ha certamente sbagliato a sminuire la portata della campagna acquisti. Lo ha fatto un po’ perché per sua indole – ciascuno ha la sua e tutte vanno rispettate – è uno che preferisce nascondersi, trincerarsi anche nella scaramanzia. Può non piacere – a me non piace – ma è così. E un po’ lo ha fatto per il motivo spiegato ieri sera: aveva paura che la squadra si sentisse gravata da troppe responsabilità. La sua spiegazione Sarri l’ha fornita e non è così banale: il Napoli non si diverte più, commette errori talmente grossolani da poter avere solamente un’origine mentale. Il Napoli non è più sereno. Poi Sarri ci mette del suo. Può essere, nessuno è immune da difetti. Diciamo che è sceso sulla terra. E con lui i sogni dei napoletani che avevano visto nell’allenatore toscano l’insuperabile maestro di calcio capace di far miracoli con nulla. E siamo al secondo errore. Quello commesso da chi ritiene questa una squadra non all’altezza di disputare una stagione da protagonista. Perché di questo si può parlare: nello sport, nessuno ti assicura la certezza di vincere; si può competere, che è un’altra storia. Solo chi non ha mai praticato o guardato lo sport, può parlare di certezza della vittoria.

È un percorso lungo. Che si snoda attraverso tantissime tappe. Una di queste è certamente la sofferenza. La crisi. Che possiamo definire di crescenza. Il Napoli non è più il meraviglioso ingranaggio dello scorso, è naturale. Gli avversari ci conoscono. Abbiamo perduto due centravanti nel giro di tre mesi. Insomma non una bazzecola. Sarri e i calciatori – e anche il presidente – sono chiamati a una prova di maturità. È il momento in cui bisogna compattarsi. Non quello dell’avevo ragione o dello scaricabarile. Sono questi i momenti in cui i gruppi possono cementarsi in maniera sorprendentemente duratura. E, ahinoi, sono anche questi i momenti in cui una crepa può cominciare pericolosamente e progressivamente a diventare qualcos’altro.

Siamo purtroppo abituati a giudicare tutto sempre e solo in base al risultato. Grande squadra dopo i quattro gol al Benfica, Napoli in crisi nemmeno un mese dopo.

Possibile che il Napoli si sia sciolto così? Non è possibile. Così come non è possibile che tutto derivi dall’assenza di Milik o dal mancato utilizzo di Rog. Rimanere compatti vuol dire anche avere fiducia delle rispettive competenze. Rassegniamoci, non ne sappiamo più di Sarri. Che non deve sminuire il valore della rosa per cercare di evitare le tensioni, ma che certamente è l’unico in grado di sapere come gestire la rosa e di conoscere le condizioni dei singoli calciatori. È facile, troppo facile, giocare con i pollici alti o versi: Hysaj no, Maggio sì e subito viceversa, Gabbiadini mai però poi Gabbiadini sì quando calcia un rigore pesante e si vede annullato un gol da cineteca. Il discorso vale anche per Jorginho (che chi scrive non ama nella maniera più assoluta) e Insigne (il cui entourage oggi dovrebbe interrogarsi su quanto bene abbiano fatto a Lorenzo le assurde richieste estive per il contratto). Lo stesso dicasi per i detrattori di De Laurentiis e della campagna acquisti (ciascuno ha le sue perversioni, mi verrebbe da dire). Così come è assurdo pensare che l’allenatore straelogiato per la fase difensiva sia improvvisamente diventato un incapace.

Il Napoli è in evoluzione. Sarri, questo sì, ha il dovere di tenere su la squadra e di far comprendere ai calciatori il loro reale – alto – valore. E siamo certi che lo sta facendo da tempo. Solo il Napoli deve convincersi della sua forza. E forse anche il suo allenatore. Probabilmente fa bene a dire che il Napoli deve tornare a divertirsi.

Però è vera anche un’altra cosa: il Napoli deve imparare a giocare con la tensione addosso.

La fase del divertimento con la testa sgombra è passata. E probabilmente non tornerà più, come i pomeriggi di maggio di morettiana memoria. Bisogna imparare a giocare con la tensione addosso, perché quello è il circolo cui appartiene questo Napoli. E per questo Napoli intendiamo tutti, anche noi tifosi e addetti ai lavori. Lì bisogna lavorare. Non si può essere outsider a vita. Ecco, questo è il peccato, l’errore, che imputo a Sarri. Probabilmente lo fa a fin di bene. Ma prima o poi i figli crescono e a un certo punto vanno trattati da ometti e messi di fronte alle loro responsabilità. È un passaggio che richiede fatica e comporta molti rischi  ma è l’unica strada da percorrere. Anche perché il Napoli ne ha le possibilità.

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