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De Laurentiis e il Napoli: né con i papponisti né con i lealisti

I risultati del Napoli di De Laurentiis sono innegabili ma la società non comunica con i tifosi e non ha una visione.

De Laurentiis e il Napoli: né con i papponisti né con i lealisti
De Laurentiis

La spaccatura è di quelle profonde e con il tempo non fa che acuirsi: i tifosi del Napoli sono divisi in due. Da una parte quelli che ce l’hanno con De Laurentiis (li chiamiamo papponisti per comodità), dall’altra quelli che, invece, credono che il Presidente abbia sempre e comunque ragione (li chiamiamo lealisti, sempre per comodità).
Il giornale che ospita queste mie righe è probabilmente il più odiato dai papponisti. Veniamo accusati un po’ tutti di eccessiva benevolenza verso De Laurentiis, quando non di servilismo o addirittura di essere direttamente al soldo della società.

Inutile perdere tempo a smentire queste accuse, quel che qui mi interessa e mettere un po’ in discussione questa frattura e provare a vedere se esiste una terza via tra papponisti e lealisti.
Partiamo da un dato oggettivo, quello dei risultati.
Nel grafico qui sotto ho tracciato i piazzamenti del Napoli nei campionati italiani dal 1926 al secondo posto dell’anno scorso. La linea rossa verticale segna il momento in cui De Laurentiis diventa il patron del Napoli.
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Non c’è molto da aggiungere, il grafico si commenta da solo. E’ del tutto evidente che l’attuale Presidente ha raccolto la squadra nel suo picco più basso e l’ha fatta risalire velocemente verso il calcio che conta. Da quando il Napoli è tornato in Serie A la serie di piazzamenti inanellati è tra i migliori di tutta la sua storia. A ciò vanno naturalmente aggiunte le due coppe Italia, la Supercoppa e alcune esaltanti stagioni in Europa dalle quali discende il ranking attuale del Napoli che gli consente di affrontare i sorteggi della Champions League come squadra di seconda fascia. Tutte le statistiche e i record della società sono migliorati negli ultimi anni. Criticare il Presidente guardando i risultati, quindi, è davvero difficile.
Ma non si vive di sole statistiche. Il mondo del calcio è fatto di umori e passioni, forse, più di ogni altro. Basta poco per infiammare una platea, basta pochissimo per inimicarsela.
È inevitabile? Forse sì. Se penso al pullman della Juventus bloccato dai tifosi per contestare Allegri, dopo 3 scudetti consecutivi, mi viene da pensare che nemmeno risultati stratosferici riescono a tranquillizzare certi ambienti. Forse, però, qualcosa si può fare.
Così, dopo aver analizzato il punto forte del Presidente, passiamo al punto debole: la comunicazione.
In questi anni abbiamo sentito dalla sua voce ogni dichiarazione di sorta. Dagli insulti ai tifosi che lo contestavano alla scugnizzeria, dallo stadio nuovo, a grandi acquisti che sarebbero dovuti esserci e non ci sono mai stati, passando per infinite disquisizione sui diritti di immagine, sui giocatori che devono amare la maglia, sul fair play finanziario, sui napoletani che danno di più nel Napoli, sui napoletani che non funzionano nel Napoli, sulla maxi lega europea, sul sistema calcio che è sempre da rivedere… una ridda di esternazioni che rendono davvero arduo comprendere e analizzare il De Laurentiis pensiero, condito spesso da trovate estemporanee (cito per tutte la maschera da leone che fece indossare ad Inler per la sua presentazione), di cui si fatica a trovare il senso.
Per come la vedo io, i tifosi del Napoli sono una comunità e bisognerebbe stabilire per tempo come rivolgersi ad essa.
Il Napoli, viceversa, non comunica con il suo pubblico. Non lo fa su questioni come il prezzo degli abbonamenti, come abbiamo potuto constatare qualche giorno fa, non lo fa sulle strategie societarie, non lo fa sul calcio mercato.
A mio modestissimo avviso questo crea un duplice effetto: da una parte si crea diffidenza tra pubblico e società, dall’altra si lascia un enorme spazio di manovra ad una comunicazione “cattiva” gestita da soggetti esterni al Napoli. Basti guardare come sono stati trattati gli azzurri dalla stampa in questo primo mese di calcio mercato.
Nei fatti abbiamo la stessa squadra che è arrivata seconda l’anno scorso più Tonelli e, pare, Giaccherini. Sui giornali e nei bar, invece, i toni sono da squadra smembrata e allo sbaraglio.
Possiamo anche credere alla favola del tifoso “cattivo” eternamente insoddisfatto, ma più realisticamente andrebbe osservato che c’è un disorientamento generale creato dalla lotteria dei nomi che sono stati accostati al Napoli da quando è finito il campionato e dalla raffica di rifiuti, veri o presunti, che la società ha ricevuto. Inoltre non si sa, allo stato, neppure che tipo di giocatore stia effettivamente cercando il Napoli e chi sta elaborando le strategie di mercato.
Questo mi consente di inserire un secondo enorme punto debole di De Laurentiis: l’assenza totale di dirigenti nella società. Con l’eccezione di Giuntoli, del quale però non sembra certa l’autonomia, il Napoli praticamente non ha alcun dirigente. Nessuno che parli, ad esempio, a Sky o Mediaset. Nessuno che sia riconosciuto come attendibile e che possa smentire o confermare le trattative in corso. Nessuno che sia in grado di portare il punto di vista della società nel dibattito che, inevitabilmente, si crea attorno al Napoli. Non è un caso se il nostro Italo Alloggi, dirigente di fantasia, abbia scritto alcuni degli articoli più letti di sempre sul Napolista.
Il terzo punto dolente della gestione De Laurentiis è riconducibile alla sua storia. Il Presidente ragiona da produttore, da impresario. Per fare un bel film servono delle persone, sceneggiatori, attori, regista, comparse. Lo stesso ragionamento applicato al calcio lo porta a scegliere con cura alcuni dei protagonisti. Gli allenatori li ha sempre selezionati lui personalmente e spesso lo abbiamo ascoltato fare parallelismi tra il mondo del calcio e l’industria cinematografica.
La cosa, come abbiamo detto all’inizio, funziona. Il Napoli ha risultati strepitosi da quando c’è lui.
Ma il Napoli attualmente è composto unicamente dalla squadra e dallo staff tecnico.
Non c’è una struttura all’altezza della Champions League. Ne osò parlare Benitez prima di chiudere il suo rapporto con il Napoli. Le reazioni, del Presidente innanzitutto, ce le ricordiamo tutti. Non c’è un settore giovanile degno di questo nome e nemmeno uno staff dedicato allo scouting. Della questione stadio non parliamo nemmeno per carità di patria.
Se il Napoli è solo la prima squadra è del tutto ovvio che l’attenzione di tutti sia concentrata esclusivamente su di essa, di qui l’ansia spasmodica con la quale si vivono i giorni del calciomercato.
Né con i papponisti, né con i lealisti, quindi. Cercando di guardare la gestione De Laurentiis con serenità e obiettività non si possono mettere in dubbio i risultati ottenuti e la qualità della squadra allo stato attuale, così come è cristallina la gestione attenta del bilancio societario. Vanno però messi in evidenza i punti deboli. De Laurentiis, come tutti noi, non è eterno. Se domani decidesse di lasciare la presidenza del Napoli lascerebbe un’ottima squadra, i bilanci in ordine e null’altro. Se prima di andar via decidesse di vendere due o tre pezzi forti, lascerebbe solo i bilanci in ordine.
L’accusa di “lucrare” sul Napoli è risibile, nessuno può pretendere un presidente mecenate solo per accontentare i tifosi e abbiamo negli occhi ancora fresche le disavventure finanziare che ci portarono in serie C. Quello che si può chiedere, invece, è uno sguardo un po’ più lungo. Una visione.
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