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Perché i campioni non incidono più nei grandi tornei con le Nazionali

Perché i campioni non incidono più nei grandi tornei con le Nazionali

Da sempre la storia e l’epica del calcio sono scandite dalle imprese delle grandi squadre e dei loro campioni più rappresentativi. Nel corso degli anni sono stati tramandati, tra gli altri, i miti del Real Madrid di Puskas, Gento e Di Stefano, dell’Inter di Herrera e di Corso-Mazzola-Suarez, dell’Ajax, del Milan di Sacchi e degli olandesi, del Barcellona di Guardiola; ma anche del Brasile di Pelè e dei cinque numeri dieci, dell’Olanda di Cruyff, della Francia di Platini, dell’Argentina di Maradona, dell’Italia dell’82. Ecco, se dovessimo individuare un segno dei tempi, oggi è difficile associare una nazionale ai suoi campioni, e viceversa. I grandi calciatori della nostra epoca fanno faville nei loro club di appartenenza ma faticano a lasciare davvero il segno con le loro nazionali.

Messi, Cristiano Ronaldo, Higuain, Ibrahimovic, Lewandowski, James Rodriguez e molti altri, tutti accomunati dallo stesso destino, come gli eventi di Europei e Coppa America hanno mostrato una volta di più. Certo, i numeri non è che siano impietosi, anzi: Messi è appena diventato il miglior marcatore di sempre dell’Argentina, Cristiano Ronaldo lo è da tempo nel Portogallo ed è il primo giocatore di sempre ad aver segnato in quattro edizioni diverse degli Europei, oltre a essere a un gol dal recordman Platini nella speciale classifica all-time (9 per il francese, 8 per il lusitano). Ma, per il momento, è un dato di fatto che questi grandissimi campioni – perché tali sono e restano, non lo dimentichiamo – non sono passati alla storia per aver condotto al trionfo le loro nazionali, o per aver, con esse, scritto indelebili pagine calcistiche.

E’ un fenomeno complesso, per spiegare il quale non può bastare abbandonarsi alla considerazione secondo cui alcuni, come CR7 e Ibra, non hanno a disposizione una nazionale all’altezza: per smontare questa teoria basti ricordare come Maradona si caricò sulle spalle un’Argentina dai valori tecnici assolutamente mediocri, mentre Messi, con un supporting cast decisamente superiore e anzi di primo livello, non è riuscito a ripetere le stesse imprese (anche se, a parere di chi scrive, le campagne internazionali da lui condotte con l’Albiceleste non sono state nemmeno fallimentari come si dice).

La motivazione dunque va ricercata altrove. E risiede, banalmente, nel fatto che il calcio è cambiato e non è più quello dei nostri padri e dei nostri nonni. In passato, il calcio a livello di club godeva di una visibilità limitata per lo più all’ambito nazionale. Le gare giocate in nazionale, specialmente durante Mondiali ed Europei, rappresentavano perciò le uniche grandi vetrine planetarie, attraverso cui i migliori giocatori potevano mostrare le proprie doti a tutto l’universo pallonaro. Un esempio su tutti, Pelè è diventato Pelè grazie soprattutto alle meraviglie mostrate con la maglia del Brasile. La diffusione odierna del calcio a livello internazionale grazie alle tv e i grandi introiti derivati da ingaggi e sponsor vari rendono i campioni del nostro tempo delle vere e proprie aziende dotate di una riconoscibilità di base già elevatissima, che quasi non ha bisogno delle gesta con le proprie nazionali per essere incrementata; non che un Messi non si impegni con la maglia dell’Argentina, ma certo una volta si sarebbe posta un’attenzione diversa.

Inoltre, la globalizzazione calcistica ha cambiato molto anche le dinamiche tecniche delle grandi kermesse internazionali. Qui sul Napolista ne abbiamo già parlato alcuni giorni fa (qui): oggi è difficile incontrare quelle che una volta si sarebbero dette squadre-materasso, la competitività è cresciuta enormemente e anche le selezioni con minor tradizione possono contare su una preparazione tattica e atletica in grado di sopperire alla mancanza di stelle in organico (per informazioni basta chiedere all’Inghilterra, fatta fuori senza riguardo alcuno dai rudi ma organizzatissimi islandesi). Fare la differenza in tornei brevi è diventato ancora più difficile, senza contare il fardello di una stagione intera sul groppone, con un numero totale di partite aumentato a dismisura negli ultimi anni. Per dire, Messi e Cristiano Ronaldo hanno disputato rispettivamente 59 e 58 partite nel 2015/2016, il Maradona campione del Mondo del 1986 ne giocò 43.

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