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Ora il Napoli si muova in tempo sul mercato per accontentare Sarri

Ora il Napoli si muova in tempo sul mercato per accontentare Sarri

Lo giuro. Sono stato tra i pochissimi telespettatori – forse l’unico – che non ha avuto paura quando la squadra è sprofondata nell’abituale momento di eclissi di identità. Molte pareti hanno tremato, la mia no, perché la partita era saldamente nelle mani del Napoli, poteva sfuggirci di mano solo se il Pepe benedetto e maledetto si fosse concesso altri attimi di libera uscita. E questo per fortuna non è avvenuto a beneficio delle coronorie del tifoso sottoposte ad una ennesima prova da sforzo. A bocce ormai definitivamente ferme, però, l’ennesimo smarrimento impone di correre ai ripari: l’adeguamento dell’organico non è solo utile, è essenziale se giustamente si ambisce a restare stabilmente nel salotto europeo del calcio dominato dai favolosi conti in banca di sceicchi, finanzieri e storici presidenti che perdono il pelo ma non il vizio. Non vogliamo avventurarci su un sentiero che non è il nostro e non parteciperemo al giochetto infantile e piuttosto fuori luogo in uso nel salottino di Sky dove ognuno dei partecipanti, con giacca o senza, si sente autorizzato a fare nomi, a suggerire strategie e, soprattutto, a imbarcarsi in giudizi inopportuni, del tipo “meglio tizio di Caio”, oppure “li prenderei entrambi”. Ognuno a posto suo, ma la critica onesta è esercizio lecito e siamo autorizzati a dire che il vero problema del Napoli, come tutti voi sapete, sono le seconde linee in aggiunta alle seconde palle che regolarmente non riusciamo a sfruttare. (Se ne fossimo stati capaci, ieri nello stadio del Grande Torino i gol del primo tempo potevano essere quattro).

Rapportando questi limiti strutturali all’andamento di (quasi) tutte le partite degli azzurri, il cosiddetto teorema dei titolarissimi diventa facilissimo da sbrogliare: Sarri, che di queste cose s’intende, si fida solo di loro solo perché si fida poco dei panchinari, tutti oltre la sufficienza, per carità, ma solo due da sette-otto come i titolari. Fare nomi non è il nostro mestiere, lo ribadiamo, ma uscire dall’equivoco è d’obbligo se si vogliono mantenere le posizioni raggiunte a prezzo di una politica prudente ma anche coraggiosa e lungimirante. O addirittura migliorarle e farlo anche attraverso una più volitiva e attenta gestione dei giovani – ora che anche i ricchi qualche lacrimuccia la perdono per strada – è obbligatorio. La Juventus cattiva maestra per tanti altri aspetti ha dimostrato che si può ottenere tantissimo muovendosi bene e a tempo: adeguiamoci. Il discorso iniziale ha preso un’altra direzione e abbiamo dimenticato che sabato la pratica secondo posto e qualificazione diretta alla Champions acquisirà l’ultimo visto da parte del Frosinone che giustamente è stato definito da Eusebio De Francesco il Leicester de noantri, un esempio, cioè, di buon pane cotto nel forno a legna ideale per una merenda con la mortadella tagliata a fette leggermente più doppie di quelle abituali. Stellone ha fatto un buonissimo lavoro, c’è molto azzurro in lui, ed esce di scena dalla serie A con gli onori degli avversari. Che, al solito, dovranno impegnarsi al massimo per vincere. Toccherà anche al Napoli farlo, ma Sarri, come si dice, è persona informata dei fatti e, come ha già detto, non è cuoco che manda in malora la minestra per un pizzico di sale.

Un ultimo pensierino. Non so voi, ma il cronista ha molto apprezzato l’omaggio all’indimenticabile Torino di Mazzola, Gabetti, Loik e Bacigalupo. La radice del calcio italiano sta lì più che nella squadra che vinse i due mondiali del ’34 e del ’38 e quelle trentuno rose deposte sulla collina di Superga sono il giusto tributo al mito del bello calcistico.  

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