Il magnifico spettacolo dei sessantamila del San Paolo, fradici di acqua ma finalmente sazi di gioia, ha degnamente concluso un anno da incorniciare. Per i record abbattuti e per alcune pause non previste dal copione. La galoppata fantastica di Higuain è la ciliegina sulla torta Champions e per celebrarla scegliamo l’urlo di Daniele Adani dopo la prodezza quasi impensabile del quarto gol che è destinata ad entrare nella storia del calcio parlato al pari della telecronaca dell’immenso Galeazzi che scandì, palata dopo palata, l’inarrestabile volata olimpica dei “fratelloni” di Pompei, Giuseppe e Carmine Abbagnale.
Fin qui nessuno oserà obiettare e perfino la “rosea” si è allineata con un titolo a tutta prima pagina, ma c’è dell’altro che, per par condicio, è giusto ricordare in chiaro e in chiaroscuro: gli 82 punti mai raggiunti nella storia del Napoli, i 106 gol fatti, le ventisei partite vinte e le occasioni di rosa, cioè di scudetto, mancate per cattiva sorte ma anche per una falsa partenza (due punti su nove nelle prime tre partite che Sarri ha giocato in stato ancora emozional-confusionale) e per alcuni improvvisi cali di zuccheri calcistici, vedi Bologna, Udine, Olimpico torinese e Roma al san Paolo.
Monetizzale queste occasioni e vedi che piega piglia la storia di questo campionato e delle due leggende che ne sono scaturite, quella della Juve e quella del Napoli: solo una resterebbe fissata nelle statistiche e sarebbe vestita d’azzurro. Sappiamo che con i se e i ma non si costruisce niente, però una cosa lasciatecela dire: potevamo toglierci lo sfizio di smontare il giocattolo bianconero incollato con mastice di sanissimo realismo calcistico dal capomastro Allegri il quale ancora ieri ha ribadito di non dare soverchia importanza alle formule di gioco: basta e avanza – e i cinque scudetti di fila lo confermano inequivocabilmente – ingaggiare i migliori giocatori del mondo e mandarli in campo tanto pensano loro a tutto. Cioè a vincere, ma non a dare spettacolo e a fare simpatia portando dalla propria parte l’opinione pubblica che, invece, resta critica nei confronti della Juve. E anche diffidente al punto da ingigantire ogni piccolo segnale di presunto favoritismo (smanettando nella lunga notte di gioia mi è capitato di ascoltare, in una trasmissione della quale tacciamo il nome la seguente riflessione: il Napoli ha vinto lo scudetto degli onesti, con noi non giocano Rizzoli, Irrati, Rocchi e altri arbitri compiacenti) che sicuramente ci sono stati e ancora ci saranno perché chi vince ha sempre ragione ma è colpa più degli avversari che sua.
E proprio l’andamento di questo campionato lo ha confermato: il Napoli, è vero, poteva vincerlo, ma, come recita la vecchia gag, sulla strada di Pallanza, cioè dello scudetto, le ruote dell’auto azzurra, pur dotata di un motore potente e brillante, si sono sgonfiate. Tutto qui. Pescare nel torbido non serve e, anzi, sortisce l’effetto contrario perché si va oltre l’innocente frontiera della sudditanza psicologica che, ormai, è più uno slogan che una accusa vera di favoritismo arbitrale. A questo gioco non bisogna prestarsi.
Calma e sangue freddo, allora, ma De Laurentiis non deve prendere alla lettera l’invito: i suoi richiami alla calma li conosciamo bene e spesso ci hanno fatto incavolare. Questa volta i conti (finanziari e tecnici) sono a posto e allora diamoci dentro. La scommessa europea vorremmo giocarcela ad armi (quasi) pari per far valere il modulo che Sarri ha brevettato e che può ancora essere migliorato, con due o tre ritocchi. Ha perfettamente ragione Mario Sconcerti, è illusorio pensare che se fai dieci acquisti fai una campagna di rafforzamento importante e se, invece, ne fai quattro spendi male i tuoi soldi. L’organico va potenziato innanzitutto confermando i nostri top player, Higuain su tutti ma questa partita si gioca a livelli che sfuggono a qualsiasi controllo, ma anche il monumentale Koulibaly, l’insostituibile Callejon e l’indistruttibile Marechiaro Hamsik. Gli acquisti dovranno essere in linea con l’obiettivo: per dirla tutta, Tonelli è utilissimo per potenziare il pacchetto difensivo ma la partita vera si gioca soprattutto a centrocampo. È lì che Sarri ha costruito il suo capolavoro ed è lì che dovrà confermarlo affrontando senza paura i migliori club europei. Il tifoso, però, non ascolta il richiamo al progetto e alla ragionevole attesa di una campagna di rafforzamento mirata e ad altissimi livelli, vuole i nomi e li vuole subito. E qui da sempre casca l’asino, anzi il ciuccio che il comandante Lauro bardava d’azzurro illudendo il popolo che voleva vittorie con frattaglie di borbonica memoria.