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Cappella Sansevero il museo più visitato a Napoli. «La città conservi la sua anima»

Cappella Sansevero il museo più visitato a Napoli. «La città conservi la sua anima»

Premio Travellers’ Choice Attractions 2013 (il premio attribuito per la quantità e la qualità di recensioni che i turisti di tutto il mondo lasciano sul sito TripAdvisor sulle realtà museali italiane), nono nella classifica mondiale dello stesso anno (insieme ad istituzioni del calibro del British Museums), al terzo posto della top five italiana del premio nel 2014 (dopo la Galleria dell’Accademia di Firenze e la Galleria Borghese di Roma), il Museo Cappella Sansevero rappresenta un virtuoso esempio di gestione privata museale, sicuramente un fiore all’occhiello della nostra città, anche a livello internazionale. Un luogo intriso di fascino, storia e mistero grazie al suo fondatore, Raimondo di Sangro, principe di Sansevero (1710-1771), e ai capolavori unici che lo stesso ha lasciato, come il Cristo Velato, le Macchine Anatomiche e il Disinganno. Un piccolo Museo che però dà l’idea di grande fermento e vivacità grazie alle numerose iniziative culturali ed artistiche ed ai tanti eventi promossi dai suoi amministratori. Dal 2010, a capo del consiglio di amministrazione del Museo c’è Fabrizio Masucci, trentanove anni, discendente diretto del Principe. È con lui che il Napolista ha fatto una lunga chiacchierata sul Museo, sulla città e anche sul Napoli di cui Masucci è grande tifoso.

Quanti visitatori ha in media ogni anno il Museo Cappella Sansevero?

«I numeri crescono continuamente. Abbiamo chiuso il 2015 con 366mila visitatori paganti. Considerando il nostro giorno di chiusura settimanale, occorre calcolare 52 giorni in meno sui 365 e quindi una media di più di mille visitatori al giorno. Ripeto: si tratta solo dei visitatori paganti. Da alcuni anni siamo il Museo più visitato a Napoli, anche più del Museo Archeologico Nazionale che, nel 2015, ha registrato, secondo i dati del Ministero, 364mila visitatori compresi però quelli gratuiti. Anche il 2016 è iniziato molto bene: il primo trimestre dell’anno ha fatto registrare un +40% rispetto al primo trimestre del 2015. Se si considera che nel 2013 abbiamo chiuso con 238mila visitatori e nel 2014 con 309mila, ci si rende conto dell’aumento straordinario di pubblico. La cosa incredibile è fare questi numeri nonostante la quadratura ridotta del nostro Museo: la Cappella è molto piccola e adesso, con questi flussi, la cosa inizia a crearci dei problemi».

Da alcune interviste che ha rilasciato in passato emerge che, fino a pochi anni fa, i visitatori del Museo erano per la maggioranza italiani e che gli stranieri erano presenti solo in estate. Il trend è ancora quello o gli ultimi flussi turistici hanno cambiato qualcosa?  

«La maggioranza di visitatori resta di nazionalità italiana: siamo più o meno nell’ordine del 65% di italiani contro il 35% di stranieri. Sono dati che ricaviamo dalle vendite delle guide nelle varie lingue e dai contatti sul sito correlati a Google Analytics. Non credo però siano dati tanto anomali rispetto alle altre realtà cittadine».

Qual è secondo lei il segreto del successo della Cappella?

«Una delle sue fortune è paradossalmente di essere tutto sommato piccola: in venti minuti hai una esperienza appagante dal punto di vista culturale. Dico spesso che il Cristo Velato è un’opera “pop” nel senso che parla alle sensazioni, al cuore e alla pancia, non c’è bisogno di essere un grande intenditore d’arte per apprezzarla. La prima cosa che comunica è meraviglia: per alcuni può essere un approccio molto superficiale all’opera d’arte, un’emozione superficiale, ma è un gancio importante».

Su quali canali pubblicitari investe soprattutto il Museo?

«Investiamo in una pubblicità vera e propria solo da pochi anni. Fino a non molto tempo fa la nostra era una pubblicità gratuita che ci veniva dai tanti servizi televisivi, fotografici e dai molti libri d’arte che parlavano di noi. Da alcuni anni invece abbiamo cambiato strategia. Da due anni a questa parte, il nostro investimento pubblicitario più forte è quello all’aeroporto di Capodichino dove agli arrivi, proprio dove ci sono i nastri dei bagagli, abbiamo installato un manifesto 3×2 con un’immagine del Cristo Velato e i riferimenti del Museo. Poi ci sono le pubblicità su riviste di settore come “Freccia” e “Freccia Viaggi”, rispettivamente mensile e trimestrale di Trenitalia, ma anche sul “Venerdì” di Repubblica, quando in autunno e in primavera ci sono speciali dedicati a mostre e arte. E poi le riviste d’arte come “Il Giornale dell’Arte”. Per tre anni abbiamo promosso la rassegna MeravigliArti e abbiamo investito anche su quotidiani locali e nazionali. Inoltre abbiamo cinque profili social ufficiali sui quali siamo molto attivi».

Negli ultimi due anni il turismo, a Napoli, è cresciuto tanto. A cosa è dovuto secondo lei questo incremento?

«Mi lasci dire che negli ultimi due anni la Cappella si è sicuramente giovata dell’aumento generale del turismo a Napoli, ma siamo cresciuti anche prima, in controtendenza. L’aumento dei visitatori per noi è iniziato nel 2009, quando i musei napoletani erano quasi deserti e il turismo era a picco. A cosa è dovuto l’aumento del turismo a Napoli? Secondo me in gran parte alla congiuntura internazionale, alla paura di attentati, ma se proprio devo cercare una scintilla scatenante penso che l’amministrazione qualcosa l’abbia fatta, ad esempio con eventi come il Giro d’Italia o l’America’s Cup».

Cosa ha determinato la vostra crescita in controtendenza?

«Per noi l’anno di svolta è stato il 2010, quando abbiamo creato il comitato per celebrazione del tricentenario del Principe: siamo stati molto attivi in quel periodo, più presenti sulla stampa, abbiamo fatto mostre, concerti, organizzato un convegno studi, eravamo ogni settimana sui giornali. Questo ha giovato, nonostante creda che il Cristo Velato sia un’opera straordinaria che merita anche di più di ciò che sta ricevendo in termini di notorietà internazionale. Per i musei, Internet è una cassa di risonanza importantissima: fare cose buone porta tanti visitatori in più se i visitatori lasciano recensioni positive, chi viene a Napoli ti trova nelle prime posizioni su TripAdvisor e il gioco è fatto. A Napoli, comunque, nel campo dei musei ci sono sempre quelli che fanno la parte del leone mentre il resto è poca roba. Consideri che nel 2014, in Italia, su 500 circa tra musei, parchi archeologici e complessi monumentali censiti, i primi 30 hanno fatto l’87% del fatturato. C’è una forte sproporzione e questo fenomeno secondo me è ulteriormente amplificato dalla rete».

Cosa occorre perché l’aumento del turismo a Napoli diventi strutturale?

«Ecco, più importante ancora della causa dell’aumento del turismo è quello che occorre fare adesso. Che l’aumento sia dipeso dalla bravura dell’amministrazione, dalla nostra, o dalla fortuna, non è importante, è necessario che Napoli approfitti dei turisti che ci sono. Se i turisti restano contenti, grazie agli effetti della rete, risorsa ripeto fondamentale per il turismo, porteranno altri turisti ancora. Napoli deve tenersi stretti quelli che ci sono, lasciarli contenti, in modo che i turisti stessi facciano pubblicità a Napoli. Vorrei che Napoli, che è ancora in tempo per farlo, non avendo ancora i numeri molto più alti che registrano Roma, Firenze o Venezia, si dia una direzione precisa verso un turismo sostenibile. Lo scopo non devono essere solo i numeri, altrimenti non si va lontano. Roma, Firenze e Venezia hanno ormai centri storici senza più un’anima, negozi che propongono tutti la stessa paccottiglia. Non vorrei che Napoli si vendesse l’anima, perché è l’anima stessa della città ad essere attrattiva».

Cioè occorre una scelta politica in tal senso?

«L’amministrazione dovrebbe fare qualcosa, certo, fornire servizi più efficienti, un maggiore controllo delle strade, una valorizzazione dell’artigianato locale del centro storico. Nel nostro caso, più di qualche visitatore si lamenta di ciò che accade fuori dalla Cappella, con venditori di cornicelli dappertutto, cinesi con la loro merce: abbiamo segnalato spesso alla polizia locale di allontanare queste persone che disturbano chi è in fila e gli agenti sono sempre stati attenti e disponibili, ma dopo poche ore trovi di nuovo gli ambulanti all’esterno della Cappella. Certo il problema non si risolve, come dice Franceschini, riducendo il turismo low cost e ricreando il Grand Tour, anzi, secondo me è anche un discorso un po’ classista».

Ma l’amministrazione lamenta continuamente di non avere i mezzi per migliorare le cose in maniera radicale…

«Non è facile, ci vogliono i mezzi e l’amministrazione non ne ha, ma allora deve avere un ruolo di coordinamento e ascolto delle varie strutture turistiche e culturali. Una cosa anomala, ma anche una risorsa, della città è che a Napoli esistono tante strutture pubbliche ma anche tante altre realtà private come noi che siamo una Srl, poi ci sono fondazioni e associazioni e ciò crea difficoltà di coordinamento. Se l’amministrazione deve avere un ruolo dev’essere soprattutto quello di coordinare le varie strutture e recepire le varie esigenze. La situazione dei numeri di visitatori, a Napoli, non è ancora irreversibile. In questo momento non occorre aumentare il volume delle visite ma aumentare la qualità offerta. È importante il servizio che si offre. Nel caso della Cappella, per esempio, anche io ho necessità di migliorare il servizio: con l’incremento dei visitatori dovrò presto creare un sistema di prenotazione, anche per motivi logistici, essendo la cappella piccola e avendo un solo ingresso».

Quindi non esistono occasioni di incontro tra i musei della città? Tavoli di discussione, cose simili?

«Ogni tanto capita, per carità, abbiamo partecipato a vari tavoli, sono stati fatti vari tentativi come consorzi, reti, ma non si è mai concretizzato nulla. Ci hanno provato soprattutto le fondazioni e le associazioni private. Una cosa carina l’ha fatta il presidente della Fondazione Banco Napoli: due mesi prima dell’inaugurazione del suo Cartastorie ha convocato tutte le realtà del territorio per comunicarci che apriva. Ci ha detto: “Io non ho idee precise su come operare insieme, voi lavorate sul territorio da molto più tempo di me ma vi offro la mia disponibilità a fare un progetto comune”. Tornando alla domanda, evidentemente non tutti vogliono davvero fare rete a Napoli. A me capita spesso, ultimamente, che altre realtà mi contattino per fare qualcosa assieme: mi sta anche bene lavorare a progetti comuni, ma devo essere anche un imprenditore! Per quanto possa apprezzare il progetto che mi propongono, per quanto si tratti di persone per bene, che cosa ricavo io dalla collaborazione? Se devo fare liberalità scelgo io con chi farla. Purtroppo a Napoli ognuno vuole prendere qualcosa dagli altri».

Prima ha detto che Napoli dovrebbe preservare la sua anima, che è quella che attira i turisti. Qual è l’anima di Napoli?

«La sua grande varietà e il poter ancora offrire esperienze uniche, come Napoli sotterranea o il Parco Archeologico di Pausilypon che unisce il mare e l’archeologia a un paesaggio straordinario e che è ancora poco visitato. La vera sfida è preservare queste esperienze uniche migliorando l’efficienza e i servizi. E poi secondo me nel centro storico ancora si sente l’anima popolare che magari in altre città si è persa. Oggi la Cappella Sansevero è molto nota, è assodato che abbiamo capolavori straordinari come il Cristo Velato, ma fino a qualche anno fa non era così. Nei primi anni ‘90 contavamo solo 30mila presenze l’anno. Nell’800, con il fiorire del neoclassicismo, quando il barocco venne messo da parte, Leopoldo Cicognara parlava malissimo della Cappella per il suo gusto barocco troppo esuberante. In quegli anni la Cappella visse un momento di oscurità e venne tenuta in vita solo dal ricordo e dalla memoria della gente dei vicoli che affascinata dal principe diavolo e dai misteri legati alla sua vita passava davanti alla Cappella e si faceva il segno della croce. Lo splendore del Museo riemerse solo alla fine del 1800, dopo il crollo che danneggiò parte del pavimento labirintico. Fu allora che scrittori come Croce, Di Giacomo e Capuana rispolverarono la memoria di Raimondo di Sangro. Il Principe di Sansevero deve molto alla memoria storica dei napoletani, ancora oggi. Però vorrei dire che si parla sempre del principe diavolo, dello stregone, ma questo ha un po’ danneggiato la sua fama, perché il Principe è stato molto altro. Per questo motivo, pur mantenendo viva la tradizione e riferendola come tale, negli ultimi anni abbiamo valorizzato la figura dello studioso, dello scienziato, del letterato. Il Principe aveva interessi esoterici, certo, ma la realtà è spesso più affascinante della leggenda».

Come trova Napoli? Migliorata, peggiorata, statica? Spesso, leggendo i commenti sui social e i dibattiti sui giornali, sembra che a Napoli si parli solo di Napoli e non di dimensioni più ampie. Cosa ne pensa?

«Napoli ha un “difetto” che è proprio di tutte le realtà dell’Italia meridionale, che hanno un orgoglio di appartenenza che viene dalla loro storia e della loro unicità, anche i siciliani sembrano turisti della propria terra. Parlarsi addosso ed essere orgogliosi delle proprie origini è un fatto tipicamente napoletano, che ha aspetti molto interessanti legati all’anima popolare e magica della città ma il mio auguro è che ci sia un po’ più di scienza e meno magia».

Secondo lei, i napoletani sono uno strumento di diffusione nel mondo della bellezza della città o un limite alla stessa diffusione?  

«I napoletani amano moltissimo Napoli e nel loro amare la città fanno sicuramente una pubblicità positiva, o almeno provano a farla. Credo che Napoli sia una città tendenzialmente accogliente, caratteristica che ha conservato negli anni, ma è anche respingente per tutti i problemi che ha. Credo però che nell’esperienza, in qualunque campo, contino molto le singole situazioni. Io stesso, se vado in un ristorante e quella sera mi vanno storte una serie di piccole cose, o magari sono di cattivo umore, porterò con me un ricordo pessimo, mentre magari un’altra persona avrà un’esperienza e una percezione positive dello stesso luogo. Comunque c’è da dire che nelle classifiche sulla sicurezza cittadina in Italia Napoli non è piazzata malissimo».

Napoli si vende da sola o ha bisogno di un buon marketing pubblico?  

«Nessuno si vende da solo, anche la Coca Cola continua a fare pubblicità! La città deve insistere sulla comunicazione, valorizzare i capolavori e i monumenti più attrattivi che a pioggia portano le persone a visitare le bellezze meno note. Nel mio caso, io so che la Cappella avrebbe un significato anche senza il Cristo Velato, ma devo rendermi conto che è quello che attira soprattutto i visitatori e non posso che spingere la comunicazione su quello. In alcuni contesti cerco di spingere su altre cose, come ho detto, ma non posso negare che, sul sito del Museo, la pagina dedicata al Cristo fa da sola la somma dei contatti di tutte le altre pagine. La comunicazione è fondamentale. Le racconto una cosa: ultimamente ho monitorato i siti museali napoletani, gli orari di apertura, i siti internet, i social network e mi sono accorto che in alcuni casi non ci sono descrizioni delle opere principali che ha ciascun museo ma solo la descrizione del palazzo che lo ospita. Nel sito del mio Museo, nelle prime otto righe, sono nominati il Cristo Velato, le Macchine Anatomiche, il Disinganno, la parola “mistero” e “Principe”. Ora, io non sono uno specialista in comunicazione, sono un laureato in filologia classica su Platone, diciamo che sono stato prestato all’imprenditoria ma a volte basta un minimo di buonsenso. Nella comunicazione, poi, basta essere basici ed efficaci, non c’è bisogno di andare tanto per il sottile».

Cosa apprezzano di più i turisti nella comunicazione effettuata da un Museo?

«La precisione, l’efficienza, il prestare attenzione alle loro esigenze. Il mio orgoglio più grande è la precisione che abbiamo nella gestione del Museo: quello che leggete sul sito viene rispettato al cento per cento. Ogni giorno, dieci minuti prima dell’apertura, ci sono due persone sedute nella biglietteria. Deve succedere l’apocalisse per non trovarle. Perché se un turista va in un museo al momento dell’apertura e lo trova chiuso, poi si diffonde la voce che gli orari non sono attendibili, e questo fa ridurre le visite. Per dirgliene una: a marzo siamo stati chiusi per due settimane per dei lavori, non facevamo un giorno di chiusura dal 2009 ed ero preoccupatissimo, più che dei lavori, del fatto che la gente non sapesse che eravamo chiusi e trovasse l’ingresso sbarrato. Perciò ho preparato la chiusura con grande anticipo, con una forte comunicazione prima e poi con la presenza sul posto anche durante i lavori: in biglietteria ho lasciato una persona fissa ad accogliere i visitatori, ho fatto stampare delle cartoline più belle di quelle che vendiamo di solito, con l’informazione della chiusura e della riapertura con i nuovi orari, con una bellissima foto in bianco e nero. Una piccola percentuale di visitatori è venuta lo stesso, ma hanno trovato qualcuno ad accoglierli e anche un gadget in regalo. Non si è alterato nessuno… ».

Siete stati chiusi per circa 15 giorni. Che tipo di interventi avete effettuato?

«Interventi di manutenzione straordinaria volti a migliorare il servizio ai visitatori. Abbiamo installato una nuova illuminazione a led, mirata sulle singole statue, più museale, che consuma meno e valorizza i colori. Abbiamo creato una sorta di aerazione naturale, rendendo apribili alcuni finestroni. D’estate arriviamo a numeri altissimi di visitatori e in tal modo abbiamo cercato di rendere ancora più vivibile la Cappella. E poi abbiamo fatto una pulitura seria delle statue con una ditta specializzata in restauri. Si vede la differenza».

Prima mi ha parlato di ciò che secondo lei ha fatto questa amministrazione e di ciò che si dovrebbe fare in termini di comunicazione: con Bassolino la proposta culturale della città era di profilo più alto?  

«C’è stato un periodo in cui ci sono state tante mostre, a Napoli, e anche molto belle, che inevitabilmente davano visibilità e l’idea di un certo attivismo. Ai tempi di Bassolino e Spinosa era un continuo. Ma già allora notavo una cosa: ho visto un paio di mostre stupende all’Archeologico, con dei contenuti bellissimi, ma il resto del Museo cadeva a pezzi. Ecco l’importanza della comunicazione e del trovare un modo per emergere. Se si organizzano solo belle mostre, finiti i soldi, resta la sostanza, che è carente. La politica dovrebbe avere il coraggio di investire in miglioramenti strutturali. E poi ci vorrebbe un sito internet suddiviso in categorie, che parli per grandi accorpamenti di castelli, parchi, musei. Una cosa del genere, in termini di comunicazione, potrebbe funzionare bene».

Il suo Museo si trova in pieno centro storico. Il centro può fare da volano per la crescita dell’intera città? Lello Esposito, qualche mese fa, ci ha detto che la rinascita parte dal centro e si diffonde alle periferie. Che ne pensa?

«Che un minimo ci si allontani dall’area dei Decumani è positivo e lo sto riscontrando. Ultimamente ho parlato con una guida che fa turismo di élite soprattutto con gli americani: mi ha detto che gli americani prima andavano a Capri, in Costiera, a Pompei, ma che non si fermavano in città, mentre oggi dormono a Napoli. Non solo, per la prima volta iniziano a chiedere strutture che non siano nell’area dei Decumani, diventata per loro troppo turistica, ma alla Sanità o ai Vergini. Certo non si può avere la pretesa, per quanto si possa comunicare in modo efficiente e emettere tutto a sistema, di spostare i flussi turistici…».

Lei è un grande tifoso, cosa pensa del Napoli di Sarri?

«Tutto il bene possibile. Ho un sola critica e riguarda la partita di Torino allo Juventus Stadium. Dovevamo andare lì e mettere a ferro e fuoco Versailles e invece ci siamo accontentati di essere ammessi a Corte. La Juventus ci temeva, abbiamo fatto possesso palla, certo, ma dovevamo provare a vincere. Ovvio che sull’episodio siamo stati sfortunati ma è stata l’unica partita del campionato in cui il Napoli non ha fatto un tiro in porta, non ci abbiamo nemmeno provato. È stato il crocevia negativo della stagione. Eravamo più forti, ci temevano, ma questo non mi basta. C’erano un’attesa e un’ansia, quella settimana, un entusiasmo tale da creare una cappa. Finché Napoli e il Napoli approcceranno le cose così sarà molto difficile vincere».

Benitez e Sarri. Com’è cambiato il Napoli con il nuovo allenatore?

«L’impressione che ho avuto dal primo momento è che la squadra si senta più unita intorno a Sarri di quanto non accadeva con Benitez. Rafa non è stato amato da tanti giocatori che ha allenato: forse ha qualche problema relazionale, certo non ha grande empatia».

Il Napoli: società forte all’interno del sistema o sorellastra minore?

«Devo premettere che sono un presidenzialista convinto. Certo, il Napoli è di tutti, come concetto, idea e passione, ma alla fine appartiene a De Laurentiis e l’interesse della società in gran parte coincide con quello dei tifosi, perché la squadra va bene. Poi, è chiaro, questo è uno sport, e da tifoso capisco che l’obiettivo finale è vincere, ma qualcosa già è stato vinto. Per quanto riguarda la domanda: no, il Napoli non è una società forte. De Laurentiis è molto accentratore, manca una struttura societaria capillare. Ma devo riconoscere che le cose che funzionano, e lo vedo anche nel mio caso, sono quelle che segui personalmente: è interesse personale industriarsi per avere successo e un riscontro economico. Io però mi chiedo una cosa: perché bisogna accettare che per forza occorra contare qualcosa? Non si può essere solo i più bravi? Il Napoli non può vincere lo scudetto perché è solo un po’ più forte della Juve? Perché bisogna per forza contare in Federazione? Comunque è un problema di sistema geocalcistico difficile da scardinare, la colpa non è nemmeno tanto di De Laurentiis. Poi c’è una cosa che mi fa impazzire delle discussioni che ho con gli juventini: può anche essere, come dicono loro, che vediamo tante cose perché la Juventus vince sempre e saltano all’occhio, ma non capisco che ci accusino di essere complottisti e ci dicano che il nostro è un approccio da perdenti. Posso sentirmi libero di avere dei dubbi sugli arbitri e di non sentirmi totalmente garantito da loro quando gli juventini non riconoscono il verdetto di un tribunale? Poi dei singoli episodi si può discutere. Certo, siamo accecati dall’essere tifosi, anche se proviamo a essere imparziali, magari sul singolo episodio avranno pure ragione ma non mi contestate l’approccio da perdente complottista, per piacere».

Un’ultima domanda: quali sono i prossimi eventi che ha in programma nel Museo Sansevero?

«A giugno promuoveremo una mostra di grafica d’arte che si terrà con tutta probabilità nell’atelier di Lello Esposito. L’anno scorso abbiamo bandito “Segni Svelati. Opere grafiche per la Cappella Sansevero”, con l’Accademia delle Belle Arti. I tre vincitori (c’è stato un ex aequo) hanno avuto un premio in denaro di 500 euro e sarà realizzata una cartella d’arte in 50 esemplari con le tre stampe dei ragazzi vincitori. A giugno, nella mostra in programma, saranno esposte le 25 opere selezionate nel concorso, comprese le tre vincitrici».

Foto tratte da sito del Museo Cappella Sansevero

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