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Higuain ha sbagliato, non per amore. Ma io lo difendo e lo amo

Higuain ha sbagliato, non per amore. Ma io lo difendo e lo amo

No, non sono tra quelli che immaginano che il Pipa abbia trasceso sul campo per amore di Napoli, tributandole un pianto d’amore. Questa è solo una docile illusione confezionata per trascinare un semidio nelle stanze anguste dei nostri piccoli peccati. Pipa traccia vie incomunicabili, si muove per enigmi, con l’estro dell’eroe apolide che scende in campo per giocare non già contro un avversario, ma sempre e solo contro l’idea di perdere, come spiegò un giorno Eric Cantona al mondo.

Lo abbiamo visto trasalire e trasfigurarsi dal dolore, come una Ifigenia sull’altare sacrificale che Artemide tramuta in cerva, nel tentativo di sottrarsi a questo destino comune che è la sconfitta che obera ogni ciuccio. Forse ha ricevuto un calcetto, forse non lo ha ricevuto. Forse fa pressione sul petto. Cosa può contare? Stiamo sezionando un’incongruenza in un milione di parti illudendoci nuovamente che si possa trovarne una risolutiva. Anche noi, quando il gallo canta tre volte, ci scopriamo a cercare il referto. L’analisi finale che inchiodi la verità – la verità, la cosa più sopravvalutata nella storia dopo la corretta posizione di Hamsik in campo.

Permettete che ve lo dica io: sì, ha sbagliato. Ha commesso un errore, lasciandoci in dieci e offrendo la testa alla prevedibile inclemenza del giudice sportivo. Ma visto che lui non difende alcunché, permettetemi anche di dire che il suo errore lo difendo io. Perché la vita alla fine è anche scegliersi i giusti anelli che non tengono. Io scelgo il Pipa, che di me, di noi e del golfo indimenticabile si dimenticherà in un batter d’occhio come fanno i grandi che non hanno memoria, i grandi che obbediscono ad una legge superiore e spietata di chi ha deciso di bruciare ma non svanire – direbbe Neil Young. Ti amo per questo, Pipa. E risulterà un caso solo agli sbadati che a continuare questa impari lotta contro la sconfitta, caduca ed imperfetta, sarà un ragazzo triste ed anch’egli spietato, quello che ti abbracciava, con in spalla un numero dispari e primo sicuro, come lo definiscono i matematici, ovvero figlio di numeri primi: il 23.

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