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Contro l’idea di calcio moderno che mal digerisce le vittorie (del Napoli) per 1-0

È l’11 settembre del 1983, prima giornata di campionato. La Juventus batte l’Ascoli 7-0. Nel post-partita viene intervistato anche Michel Platini che dice: «Soddisfatto? Preferisco vincere sette partite per 1-0». Trentatré anni fa. Un’era geologica. Il retropassaggio era ancora consentito. Sette gol in una partita erano un evento storico. Dieci anni prima li segnò anche il Napoli, alla Ternana. Era un altro calcio. L’uno a zero non destava scandalo. Era la norma. Noi tifosi azzurri, che avevamo in rosa Boldini, Frappampina e il povero De Rosa, avremmo firmato col sangue per tre risultati così consecutivi. Il calcio era uno sport europeo. Negli Stati Uniti d’America faticava ad affermarsi nonostante la migrazione a suon di dollari di vecchie glorie come Pelè, Beckenbauer, Chinaglia. Gli yankee proprio non lo concepivano quello sport: il soccer. Lento, noioso, che poteva finire persino zero a zero. Una bestemmia per gli americani. Che in fondo non si sono mai appassionati. Poverini, hanno ospitato anche quello che probabilmente – fatta eccezione per la breve parentesi Maradona – il Mondiale più brutto della storia del pallone. Amano il calcio femminile. Più vario, più divertente. Meno schematico, meno dogmatico, meno tattico.

Tu vuo’ fa’ l’americano. In versione rap qualche anno veniva suonato al San Paolo prima della partita. E americani (termine certamente spregiativo se riferito al gioco del calcio) sembriamo diventati un po’ tutti. Surreale l’accenno di dibattito sorto tra i tifosi azzurri – con la complicità di qualche addetto ai lavori – al termine di Palermo-Napoli una partita che la squadra di Sarri ha vinto con disarmante superiorità, dopo aver subito un tiro in porta in novanta minuti e aver sciupato non ricordo più quante occasioni da gol. Il nuovo pubblico calcistico – beati loro, hanno dimenticato Stanzione, Vagheggi, Montezine, Consonni e altri trecento nomi che vi risparmio – ha gradito ma fino a un certo punto. Se sono gli altri a vincere uno a zero – come la Juventus col Sassuolo – è una dimostrazione di cinismo; se siamo noi, qualcosa comincia a scricchiolare.

La partita ideale è quella vinta uno a zero con rigore inesistente e nessun altro tiro in porta. Siamo ben lontani da quest’orizzonte. Perché il Napoli ineluttabilmente gioca a calcio, non riesce a farne a meno. A Palermo ha tirato in porta quasi venti volte. La squadra di Novellino la palla non l’ha vista praticamente mai. E checché ne dicano persino il rigore era rigore. Netto, nettissimo. Di più. Direi uno dei primi rigori con avviso di chiamata da parte dell’arbitro: “se li abbracciate così in area è rigore”. Detto, fatto. Due anni fa a Dortmund ci fischiarono un rigore contro per molto, molto, molto meno. Non si capisce perché il tifoso del Napoli si senta sempre in obbligo di dover dimostrare qualcosa. Non possiamo solo vincere, dobbiamo anche convincere, stravincere, ottenere il consenso dei giurati. Come disse Spike Lee, i neri avranno ottenuto la parità quando potranno essere stronzi come i bianchi. Ecco, siamo ancora lontani. Vorrei vincere uno a zero con rigore inventato e senza tirare mai in porta.

Questo Napoli, invece, continua a giocare da dio. Higuain continua a segnare ed è a quota ventisette. Adesso segna persino su rigore, lui che preferisce i gol difficili a quelli facili. Jorginho continua a impartire lezioni di geometria in un crescendo e in una metamorfosi continua che ieri lo ha fatto assomigliare tremendamente a Pirlo. Reina è tornato a essere decisivo con una parata rasoterra su Vazquez tutt’altro che semplice. E vivaddio che Hamsik ha giocato sotto tono. Meno male che Insigne ha fatto incazzare qualche tifoso. Giocare male e vincere, questo è il sogno proibito. Invece il Napoli continua a essere una meravigliosa orchestra polifonica che potrebbe partecipare a concorsi di bellezza del gioco del calcio.

Senza dimenticare il dettaglio di essere secondi in classifica a tre punti da una Juventus mostruosa che nelle ultime diciannove partite ne ha vinte diciotto. E quindi ancora pienamente in corsa per lo scudetto. Un particolare ininfluente per una piazza come la nostra abituata ogni anno a lottare per la conquista del campionato. L’uscita dall’Europa è stata salutata da due vittorie consecutive. Siamo ancora immaturi per lottare su più fronti, ma bisogna anche essere realisti e saper accettare i propri limiti. Di questi tempi, con questa classifica, non ci sembra un grandissimo sacrificio.

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