A otto dal termine, meno tre dalla prima e diverse partite dal pronostico incerto dinanzi, l’errore da non commettere è far scegliere al più forte l’arma dello scontro. Autentico trucco di contabilità creativa, la storia dei torti arbitrali è da sempre la panacea che cancella le responsabilità e concede facile ristoro ai perdenti. Alla trentesima giornata ne ha usufruito un Ventura piagato da una stagione al momento poco difendibile, da soli 33 punti; il suo Toro riesce a prenderne due in quaranta minuti di derby contro una Juve reduce da una autentica tranvata europea, addirittura offrendo un tappeto rosso di qualche decina di metri al Khedira autore del raddoppio solo e incontrastato, ma le lagnanze post gara sono il sacro lavacro che solleva dalle responsabilità. Lagnanze irresponsabili, perché se c’è una squadra che si avvantaggerà di questo inutile caos, in un campionato fra i più corretti di sempre, è la Juventus.
Il tema dell’errore arbitrale è infatti un gioco a perdere per tutti, fuorché per l’ultimo ad avere la parola, ovverosia per chi siede in vetta, proprio come quando a scuola si giocava a chi conosceva il numero più grande e trionfava sempre e banalmente l’ultimo bambino che sommava uno al numero scelto dal suo predecessore.
L’ordalia cui si sottopongono le terne arbitrali e le noiosissime recriminazioni al seguito servono come il pane ai bianconeri soprattutto per mascherare due scottanti realtà: anzitutto un loro principio di logorio fisico e mentale che li rende proni all’uscita sguaiata contro direttori di gara in campo e verso le istituzioni del calcio dietro le quinte; quindi l’assurda decisione della Lega di far giocare la seconda in classifica costantemente dopo la prima, costringendola sempre alla gestione della pressione del risultato acquisito sul fronte bianconero.
L’ottima notizia, però, è l’undici sarrìta, che sebbene vacilli lievemente anche in virtù di questo timore da posticipo, gioca un fútbol ricchissimo e concentrato, seguendo la direttiva dell’allenatore e disinteressandosi sia dei bianconeri che di qualche nervosismo che ora si affaccia sul tifo napoletano, che quasi aspetta ed invoca il motivo extra calcistico – la cospirazione di palazzo, la manovra oscura dei potenti – per darsi ragione della pretesa ingiustizia di rimanere secondi pur continuando a vincere col miglior cannoniere di sempre.
Non è un campionato per deboli di cuore, sia chiaro. Dunque ciascuno misuri la propria resistenza. Ma non caschiamo nel tranello come polli. Se qualcuno ha immaginato anche solo un attimo che sul serio i primi in classifica si disinteressino dei piani bassi per un qualche divino atto di onnipotenza, allora è un po’ avventato. Nello spogliatoio bianconero sanno molto bene che i loro straordinari cinquantotto punti su sessanta valgono, ad oggi, solo tre punticini di distacco. O che – per dirla alla Guardiola, con un po’ di proprietà transitiva – se straordinario è chi fugge, straordinario è chi insegue. Con altri ventiquattro punti in palio servirà un cuore forte anche a loro.
Possiamo perdere, certo, è tuttora più probabile, ma se anche fosse, a questo punto, la nostra rimarrebbe una stagione straordinaria. Non credo valga lo stesso per loro. Non facciamoci fare fessi.