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“Monzon” Novellino e quella inutile, bellissima promozione

«Ti spacco la faccia!». Con questa frase, pronunciata agitando minacciosamente il pugno, Alfredo Walter Amato Lenin Novellino, detto “Monzon”, entrò nel mio cuore.

Era l’agosto del ’99, io mi ero diplomato da poco e trascorrevo nell’ozio gli ultimi scampoli di quella che sarebbe stata l’ultima estate libera della mia vita. A breve sarebbe arrivata l’università, ma la mia preoccupazione principale, in quei giorni, era cercare di scoprire il nuovo Napoli di Novellino, dopo le due peggiori stagioni della storia azzurra: l’ignominiosa retrocessione dei 14 punti (e dei 4 allenatori) e l’anonima stagione di B con Ulivieri e Mazzarri.

Novellino invece veniva da due ottimi campionati a Venezia (promozione in B e salvezza in A, lanciando il giovane Recoba) ma soprattutto agli occhi dei tifosi sembrava avere la tempra giusta per dare una sveglia all’ambiente e quella frase – «Ti spacco la faccia!» – urlata a un difensore che aveva sbagliato una chiusura in una amichevole estiva fu per me uno squarcio fra le nuvole che coprivano il cielo grigio di quegli anni. In quel momento mi venne subito in mente che esattamente un anno prima, in una amichevole estiva, il suo predecessore, Ulivieri, di fronte all’ennesimo svarione difensivo, anziché arrabbiarsi, si era girato affranto verso la panchina pronunciando la frase: «Ho una difesa di ubriachi». Mi sembrò arrendevole, più che combattivo. E il campionato confermò le mie paure.

Ma torniamo a Novellino. Il Napoli non partì bene. Anzi, decisamente male: in precampionato riuscimmo a perdere pure col Mestre mentre il Campobasso ci impose lo 0-0. Poi, nel gironcino di Coppa Italia, all’esordio la Salernitana ci mandò a casa con un secco 2-0. Novellino, più arrabbiato che affranto, nell’intervista dopopartita ripeteva come un mantra: «Dobbiamo lavorare». Dopo 15 giorni, ultima partita del gironcino, per passare il turno avevamo bisogno di una vittoria con 3 gol di scarto. Vincemmo 3-0! Stadio in tripudio, ma Novellino dopo la gara disse le stesse identiche parole dell’andata: «Sono contento, ma dobbiamo lavorare».

E in effetti quella non fu una stagione facile: avevamo addosso troppi anni da perdenti e ricominciare a vincere subito era complicato. Ci riuscimmo, nonostante l’avvio balbettante, grazie a vittorie portate a casa con le unghie e con i denti, spesso col minimo scarto.

Quella decisiva arrivò il 28 maggio, in casa contro il Brescia: ero a Castel Volturno, preparavo l’esame di Storia Contemporanea sotto il sole primaverile. Alle 15, libro chiuso e orecchie all’autoradio. Il San Paolo era stracolmo e le casse della macchina vibravano di passione ogni volta che “Tutto il calcio” si collegava con Napoli. Finì 3-0, con tripudio finale al gol del redivivo Bellucci. Promozione in tasca: la matematica arrivò a Pistoia, poi la festa nell’ultima partita, in casa col Genoa (che dopo 7 anni affrontammo di nuovo nella partita decisiva per la promozione A).

L’anno successivo ci esaltammo troppo coi voli pindarici di Zeman e cademmo a terra con la pesantezza di Mondonico, fino all’epilogo, proprio col Brescia, che venne a imporci il pari nello scontro diretto, grazie alla famosa punizione di Baggio. Nessuno mi toglie dalla testa che con Monzon in panchina ci saremmo salvati. L’ho incontrato qualche mese fa, allo stadio di Perugia, e mentre lo salutavo gli ho sussurrato questo mio convincimento: «Mister, se ci fosse stato lei…». Mi ha sorriso e ha alzato le spalle, come per dire: “Che ci vuoi fa’?”.

Ora Novellino torna in serie A, a Palermo, e ritrova proprio il Napoli. Non avrà certo il tempo di rivoluzionare il carattere della squadra, ma stiamo certi che ci darà filo da torcere, chiedendo al Palermo di giocare nell’unico modo possibile: con la rabbia e con il cuore. Del resto, come altro potrebbe giocare la squadra di Monzon?

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