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Napoli non è autocommiserazione, basta rileggere Pasolini sugli scugnizzi

Napoli non è autocommiserazione, basta rileggere Pasolini sugli scugnizzi

Una volta, al Caprice di Milano, il cantante e batterista Gegè Di Giacomo della Carosone Band coniò un’espressione poi passata alla storia per introdurre la canzone La Pansè: Canta Napoli…Napoli in fiore! Da quel momento, altre canzoni della band furono annunciate dal grido di battaglia Canta Napoli, spesso sfruttato anche in ambito calcistico dalla stampa locale e nazionale per sottolineare una bella prestazione della compagine partenopea. Certo, dopo le ultime tre partite, anche i tifosi più ottimisti non hanno voglia di cantare e si fanno facilmente abbindolare dallo sport primaverile più in voga negli ultimi anni nell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie: l’autocommiserazione accompagnata, di solito, da un pessimismo cosmicamente leopardiano. Ecco, dicono i più, la squadra, come ogni anno, è in calo fisico e l’allenatore nelle precedenti partite ha solo avuto fortuna; quando Higuain non la mette dentro, il Napoli non vince; durante il mercato di gennaio, bisognava prendere altri giocatori, perché la panchina è corta, e via pontificando. Il tutto, ovviamente, condito dal solito e inutile ingrediente in dosi, ahimè, massicce: più o meno, quattro chilogrammi, di “neppure quest’anno riusciremo a vincere..stiamo già mollando..”

Questa peculiarità, ravvisabile sia a livello microscopico-familiare sia a livello macroscopico-mediatico, sta diventando sempre più deleteria e mortificante, nella misura in cui sembra contraddire un elemento che è considerato, unanimemente, parte essenziale di quella che si potrebbe definire “napoletanità”: la caparbietà. Per carità, non sto chiamando in causa i luoghi comuni classici della pizza e mandolino, furbizia estrema e pigrizia quasi accidiosa che si tradurrebbe, in sostanza, nella mancanza di volontà sul luogo di lavoro, ed altre idiozie del genere. Mi viene, anzi, in mente, quello che Pasolini diceva sui napoletani nelle Lettere luterane, presentando la figura dello “scugnizzo” in modo quasi eroico: come colui che riesce, tra l’altro, a resistere alle trasformazioni negative del contesto storico-sociale nel quale è immerso, a non farsi sopraffare dal modo di pensare e di agire della maggioranza. Una certa testardaggine, che lo porta ad esistere e ad insistere sempre e comunque. Nonostante le avversità, nonostante la sfortuna. E, ad essere sincero, non credo che sia una caratteristica che dobbiamo perdere; anzi, sono convinto che possa giovarci anche in ambito calcistico, nel senso che ci può consentire di fare quadrato, come suol dirsi, in un momento molto delicato della stagione, in cui niente è stato ancora definito. Nel momento in cui vengono riattivate le ansie complottiste del tifoso medio, nel momento in cui sembra che la dea bandata si allontani dal nostro radar, bisognerebbe recuperare tutto l’ottimismo possibile, lanciandosi nella mischia senza paura con il cuore in gola e oltre l’ostacolo. Un po’ come cantavano gli scugnizzi dell’omonimo musical: E si cammine dint’ ‘o scuro, e nun ce ‘a faje a vede’ miette ‘e mmane annanze pe nun care’..sientete sicuro, chiu’ sicuro ‘e te..mozzeca arraggia e fatte curaggio..

Non un invito all’ottimismo più cieco e controproducente ma, al contrario, una diversa disposizione d’animo, più positiva, da trasmettere alla squadra, per allentare la tensione. Una messa in scena teatrale, magari proprio un musical, in cui tutti svolgono una mansione precisa, i tifosi, la stampa, la società e gli stessi giocatori, che, col Milan come con il Villareal e la Juve, hanno agito troppo di stomaco e poco di testa, consegnando agli avversari delle occasioni troppo ghiotte.

(Foto di Pietro Avallone che ritrae la “Pietà Pasolini” opera di street-art di Ernest Pignon-Ernest in via Benedetto Croce a Napoli)  

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