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Il Leicester non è proprio una Cenerentola dei fatturati

Il Leicester non è proprio una Cenerentola dei fatturati

In Italia, ogni giorno o giù di lì, una nuova puntata della “Telenovela Fatturati”. Una frase di Sarri scatena il polverone, poi la stampa, l’ambiente-Juventus, Allegri e ancora Sarri ne parlano e ne riparlano, ancora. Nella stucchevolezza di questa roba è entrato prepotentemente il caso-Leicester, ovvero la storia di una squadra che è in testa (domina) al campionato inglese pur con un fatturato tre volte più basso rispetto alle concorrenti. L’ultimo esempio proprio ieri, in una sorta di vittoria storica del romanticismo pallonaro sulla storia dei soldi, degli introiti, degli sceicchi: il Manchester City (414,4 milioni di fatturato secondo Deloitte) gioca in casa proprio contro il Leicester City (136 milioni di introiti) e perde 1-3. Ranieri, allenatore delle Foxes, va in fuga e aumenta a +5 il vantaggio sui primi inseguitori.

C’è una differenza netta tra il bilancio del Leicester, club al secondo anno di Premier League dopo qualche stagione di “purificazione” nelle serie inferiori, e quello delle altre pretendenti al titolo di Campione d’Inghilterra. Però, dietro la squadra delle East Midlands, c’è anche una proprietà che ha preso in mano le sorti del club e ne ha completamente cambiato il destino nel giro di pochi anni. L’unica controindicazione è un nome thailandese, impronunciabile: Vichai Srivaddhanaprabha è il presidente, suo figlio Ayawatt il suo vice. Secondo Forbes, Vichai è il quinto uomo più ricco del paese asiatico, con un patrimonio stimato di due miliardi di dollari.

Come dire: fatturato ancora bassissimo rispetto a quello dei top club inglesi ma una struttura finanziaria forte che non lesina sforzi, soprattutto sul mercato. In cinque anni di gestione thai, sono stati investiti 100 milioni di euro nell’acquisizione di nuovi giocatori. 50 solo quest’anno, di cui 7 sono finiti proprio al Napoli per l’acquisto di Gokhan Inler, panchinaro di lusso (10 presenze in tutto, 5 in Premier League) nello scacchiere di Claudio Ranieri. Una bella cifra, soprattutto in relazione ai quattro campionati di Championship, la serie cadetta inglese, che le Foxes e i loro owners thailandesi hanno dovuto disputare prima di riconquistare un posto in Premier League. Il Leicester è un miracolo, ma resta comunque un club con una proprietà straniera (molto ricca) in un contesto di assoluta opulenza calcistico-finanziaria. 

La cosa paradossale, si potrebbe dire quella davvero miracolosa, sta nel fatto che il calciatore più importante di questa bellissima storia, il capocannoniere della Premier League Jamie Vardy, sia uno degli acquisti meno costosi della gestione Srivaddhanaprabha. Un milione e mezzo nel 2012 per un calciatore del Fleetwood Town, squadra poco gloriosa della Conference Premier, quinta serie inglese e quindi campionato paritetico alla nostra Eccellenza. Un ex semiprofessionista che ieri ha firmato un rinnovo per cinque anni con il Leicester, alla modica cifra di cinque milioni di euro a stagione. I miracoli costano e costa anche mantenerli. Al di là dei fatturati. 

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