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Torino, casa Juventus, non è più il viaggio della speranza: è un Napoli divertente e consapevole

Torino, casa Juventus, non è più il viaggio della speranza: è un Napoli divertente e consapevole

Ci siamo. O quasi. Una settimana di vigilia è tremendamente lunga da passare, ma the show must go on e ci siamo dovuti adattare al suono delle grancasse che spesso gracchiavano. Tutto sommato, comunque, la settimana se ne è andata in fretta e questa, senza alcun dubbio, è una considerazione da archiviare con il segno più. In quanto certifica che Juventus-Napoli è ormai il “clasico” del campionato italiano e come tale viene riconosciuto e vissuto non solo dalle opposte tifoserie, ma anche dai protagonisti e dall’opinione pubblica, Milan e Inter compresi. Che schiumano rabbia, ma devono rassegnarsi ad un ruolo da comprimari al quale, però, mal s’adattano come hanno dimostrato le intemperanze verbose del tecnico dell’Inter Roberto Mancini. Fatta la tara del colore che ci sta – a patto che sia contenuto e indotto dalla creatività partenopea­ e non da pregiudizi degni di miglior sorte – il riconoscimento che ci ha inorgoglito in questi giorni di vigilia è l’interesse dei tecnici e dei media europei per l’onda di gradevole novità introdotta dal gioco insieme spettacolare e redditizio della squadra di Maurizio Sarri che in campo si muove – parola di Fabio Capello – come Barcellona e Bayern. È vero che la considerazione era in crescita già da qualche anno e aveva raggiunto momenti epici quando gli azzurri vennero esclusi dal secondo turno della Champions pur avendo conquistato 12 punti – come la prima del girone – battendo formazioni di assoluto prestigio, ma questi apprezzamenti oggi hanno un altro sapore: allora, infatti, ancora si gridava al miracolo napoletano che era cosa ben diversa dall’affidabilità che una squadra ottiene, soprattutto oltre Manica, quando tutti i parametri, non solo il gioco espresso, sono stabilmente superiori alla media. Oggi il Napoli è un “pari” e riceve apprezzamenti da un leader come il catalano Piquè.  

Tiriamo le conclusioni per non farla troppo lunga. Le valutazioni che abbiamo fatto, più politiche che tecniche, vanno di pari passo con un’altra che finora è stata impedita dal rating complessivo della società che, anche negli anni degli scudetti, era stata sempre considerata, giustamente a nostro avviso, una incompiuta resa grande dalle prodezze dei singoli campioni che riusciva a portare dalla sua parte: Maradona su tutti. Gli altri indicatori – organizzazione e gestione della società, rissosità oltre il lecito della platea del tifo, mancanza di continuità complessiva – rimanevano, invece, stabilmente in rosso anche quando il ciuccio scalciava come un purosangue e osava perfino concedersi il lusso di vincere in casa della Juve, anzi indicavano il limite varcato il quale il calcio, nonostante i fuoriclasse, non è più spettacolo da godere ma robaccia da mettere all’indice. Trascinandosi dietro, in una sorta di scia nera, anche il giudizio sulla città già gravata da secolari problemi mai risolti. Oggi, insomma, la musica è cambiata. Ed è più dolce: a metà campionato il Napoli è meritatamente primo e, soprattutto, è piaciuto, ed ha convinto – più della Juve – perché ha portato finalmente un soffio di novità, e di spettacolo, in un calcio che è rimasto “antico” e all’italiana, nel senso dispregiativo della difesa ad oltranza, a differenza del gioco espresso dal Napoli che in alcuni momenti davvero incanta.

Tutto ciò premesso e considerato che si va a Torino per vincere, senza spocchia, ma con la consapevolezza di chi è in grado di farlo. Detto questo può anche accadere di pareggiare o, peggio ancora, di perdere, ma la sconfitta non sarà mai più considerata un lutto cittadino: ce la porteremo a casa con la convinzione di poterci riprendere il maltolto dopo sette giorni. Per chi, innamorato del Napoli, ha vissuto decenni di umiliazioni intervallati da sprazzi di grandissima luce, questa convinzione è già tanto e ringraziamo l’uomo con la tuta e tutti i giocatori per avercela inculcata. Ed ora, guagliù, basta chiacchiere: andiamo a vincere. E, se succede, d’improvviso, come dice il nuovo inno che io, però, non cambierei mai con la forza trascinatrice di Oj vita, oj vita mia, vedremo che lo stadio che più ci è ostile si tingerà d’azzurro.      

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