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Il Napoli e quell’azzurro ritrovato: quest’anno 24 partite su 29 sono state giocate con la prima maglia

Il Napoli e quell’azzurro ritrovato: quest’anno 24 partite su 29 sono state giocate con la prima maglia

La retorica da stadio le vuole sempre “sudate”, in senso metaforico ma anche letterale. I tifosi del Napoli lo chiesero esplicitamente lo scorso 31 maggio: in occasione di Napoli-Lazio, ultima partita di una stagione amara, la Curva A espose uno striscione esplicito: «’14 Camouflage, ’15 Jeansata, 2016: la pretendiamo sudata!».

A modo loro, gli ultrà chiedevano più impegno, ma c’era anche un messaggio al presidente, da sempre accusato di pensare più al marketing e al merchandising che alla campagna acquisti. E per ricordare che i colori sono innanzitutto un vessillo della fede calcistica. In effetti, mai come negli ultimi anni il Napoli è stato così poco “azzurro”, tonalità che si è persa fra casacche jeansate, mimetiche, argentate, gialle, bluette…

Inversione di tendenza in questa stagione. Domenica pomeriggio, contro la Sampdoria, il Napoli è sceso in campo con la divisa rossa appena per la terza volta in campionato, 4 contando anche la partita col Brugge di Europa League. Tutte le altre partite sono state disputate in azzurro, tranne l’unica apparizione del grigio, sempre in coppa, a novembre. In serie A, l’ultima volta in rosso era stata il 13 settembre scorso, esattamente un girone fa, al Castellani di Empoli. E anche in quella occasione i motivi erano solo cromatici: come la Sampdoria, i toscani vestono una tonalità di azzurro e scendere in campo con la prima maglia avrebbe potuto creare confusione.

Del resto, le “seconde maglie” nel calcio sono nate proprio per questo motivo: differenziare cromaticamente le squadre che avevano una divisa ufficiale con colori troppo simili a quella dell’avversario. Ma da quando il merchandising è diventato una voce importante nei bilanci delle società, tutto è cambiato e le divise sono diventate fonte di guadagno. Quindi, più si osa, più si incassa. Ogni anno cambia il disegno (e spesso anche la marca) delle divise da gioco. E pure la differenza fra “casa” e “trasferta” si è persa, fino a scombussolare telecronisti e tifosi (chi di voi non ha mai dovuto rispondere alla domanda del vecchio zio davanti alla tv: “Ma noi chi siamo? I rossi?”). Un processo comune a tutte le squadre, a tutti i campionati, ma che a Napoli aveva assunto negli ultimi anni proporzioni decisamente esagerate. Nella scorsa stagione, addirittura, la maglia più indossata dal Napoli non è stata quella classica azzurra bensì la “jeansata”: 26 volte su 59 partite ufficiali (quasi il 50%!), di cui ben 20 in casa. Quella azzurra è scesa in campo 25 volte: solo 10 in casa, 14 fuori, più una in campo neutro, nella Supercoppa di Doha. Appena 6 apparizioni per quella bianca.

Un po’ meglio, per l’azzurro, nel 2013/2014 con 35 “presenze” (19 in casa e 15 in trasferta, oltre alla finale di Coppa Italia a Roma), contro le 14 apparizioni della maglia gialla (6 in casa e 8 fuori) che fu però protagonista di un incredibile “filotto” fra fine gennaio e fine febbraio (8 partite in “giallo” sulle 9 disputate). Relativamente scarsa la frequenza della divisa mimetica, che pure fece tanto scalpore: fu indossata 3 volte in 15 giorni all’inizio della stagione (in casa contro Atalanta e Sassuolo, in trasferta contro l’Arsenal in Champions) e poi accantonata fino alla penultima di campionato, quando ricomparve proprio a Marassi contro la Samp, in una ancor più inguardabile versione con finiture e pantaloncini gialli. C’è però da dire che spesso la mimetica era presente durante le sedute di allenamento e nelle interviste. E infatti ebbe un ottimo riscontro di vendite, condito da tante polemiche, fino al pronunciamento dello Stato Maggiore dell’Esercito che nell’autunno del 2014 vietò formalmente ad associazioni non riconosciute dal Ministero della Difesa di indossare abbigliamento che ricordasse quello militare.

Eppure, quelle maglie variopinte, per quanto apprezzate negli store ufficiali, non sono mai andate giù ai puristi. Una squadra di club non è come la nazionale. Per tifare Italia ai Mondiali si sventola il tricolore, ma per tifare Napoli non ci sono bandiere ufficiali, c’è la maglia. Ed ogni vessillo che si sventola allo stadio – in tutti gli stadi – ricalca cromaticamente i colori della maglia ufficiale. Probabilmente, non è un caso che quest’anno ci sia stata una netta inversione di tendenza. Non si tratta solo di “cuore”, ovviamente. Dietro questa scelta ci sono strategie di “fidelizzazione” e “riconoscibilità del brand”. Ma a noi va bene così.

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