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«Napoli è percepita come città d’arte in tutta Italia, anche all’estero. È una parte dei napoletani che non se ne rende conto»

«Napoli è percepita come città d’arte in tutta Italia, anche all’estero. È una parte dei napoletani che non se ne rende conto»

Parte del Progetto Cultura di Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia Palazzo Zevallos di Stigliano è tra i siti d’arte più visitati in Italia. Condivide, insieme alle Gallerie di Piazza Scala, a Milano e alle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari di Vicenza, l’idea del gruppo Intesa di valorizzare il proprio cospicuo e prestigioso patrimonio storico, artistico, architettonico e archivistico e di condividerlo con il grande pubblico attraverso mostre, convegni, concerti e laboratori didattici.

A Napoli la prima destinazione di un’area del piano nobile di Palazzo Zevallos a scopi museali risale al 2007. Nel 2014, le Gallerie sono poi state oggetto di un intervento di riallestimento che ha donato loro l’aspetto attuale. Oggi ospitano 120 opere provenienti dalle raccolte del Banco di Napoli e della Banca Commerciale, istituti confluiti in Intesa Sanpaolo, dall’inizio del Seicento ai primi anni del Novecento. Tra queste veri e propri capolavori come il Martirio di sant’Orsola, di Caravaggio, Giuditta decapita Oloferne del fiammingo Louis Finson, Sansone e Dalila, di Artemisia Gentileschi, oltre a dipinti di Bernardo Cavallino, Luca Giordano, Francesco Solimena e Giambattista Ruoppolo.

Abbiamo intervistato il coordinatore della sede museale napoletana, Antonio Ernesto Denunzio, storico dell’arte, studioso di mecenatismo farnesiano, vicende caravaggesche e legate al collezionismo dei vicerè spagnoli di Napoli. A lui abbiamo chiesto di fare il punto sulle Gallerie ma anche su come è cambiato il turismo in città e sulla domanda d’arte da parte dei napoletani.

È vero che Gallerie d’Italia è uno dei luoghi d’arte più visitati a Napoli?
«Sì, è così. Già nelle classifiche nazionali dello scorso anno Palazzo Zevallos era tra i siti più visitati in città. Quest’anno siamo quasi a 100mila visitatori, soglia che credo supereremo, soprattutto grazie all’iniziativa che accogliamo in questo momento, che vede la presenza eccezionale del “Ritratto d’uomo” di Antonello da Messina, nell’ambito della rassegna “L’Ospite illustre”, che ci consentirà in maniera ricorrente di ospitare opere provenienti da collezioni prestigiose. Nel corso di una sola settimana l’esposizione ha registrato circa 10mila presenze».

L’afflusso napoletano è paragonabile a quello registrato nelle altre sedi italiane di Gallerie?
«Forse solo Milano in questo momento è interessata da un boom analogo, grazie alla mostra di Francesco Hayez che nei giorni scorsi ha fatto registrare lunghe file all’ingresso. Ha già toccato 42mila visitatori da novembre».

Che tipo di turismo viene richiamato da Palazzo Zevallos?
«Si tratta di visitatori molto variegati. Ci sono molti stranieri, ma anche molti napoletani e italiani in genere. Per quanto riguarda gli stranieri, da un primo riscontro sommario che abbiamo fatto in Gallerie, si tratta soprattutto di francesi ma molti sono anche gli spagnoli e gli inglesi».

Crede che negli ultimi anni sia cambiato il turismo, in città?  
«Penso che sia molto cambiato. Credo che oggi si tratti di un turismo più raffinato, che cerca iniziative di carattere culturale che possano vantare soprattutto una caratteristica di innovazione. Devo dire che di questo cambiamento si sono rese conto anche le autorità locali: vedo che per questo Natale sono state previste iniziative variegate, dai cori, alle visite guidate, alle esibizioni degli artisti di strada, tutte sul tema del Natale. Il turismo oggi non è più un turismo occasionale ma è molto attento, va alla ricerca di cose che abbiano un certo interesse e uno spessore culturale. Non è legato al momento».

Eppure Napoli non riesce ancora a vivere di solo turismo. Come mai, secondo lei?
«Le premesse ci sono tutte, i numeri sono confortanti. Proprio in questi giorni leggevo di grandi passaggi di turisti, di arrivi e partenze da Capodichino, ci sono numeri importanti sulle presenze turistiche in città. Aspettiamo ancora un po’ e vediamo cosa succederà».

 

Secondo lei Napoli è una città viva culturalmente? E quanto conta l’arte in città?
«L’arte conta molto, senza dubbio. Sulla vivacità culturale non saprei. Mi spiego: le iniziative sono tante ma spesso hanno carattere occasionale, non c’è una programmazione coordinata tra le varie istituzioni culturali, Napoli comunque vive soprattutto di cultura e di arte, questo sì».

In Italia la nostra città è percepita come città d’arte?
«Direi proprio di sì! E anche all’estero. Forse c’è più consapevolezza del patrimonio artistico partenopeo nei turisti che in una parte dei napoletani. Non generalizzerei su tutti i napoletani, ma una parte sì. E non mi faccia dire quale».

La notte d’arte di sabato scorso è stata un successo per tutto il centro storico. C’era una lunga fila anche per entrare a Palazzo Zevallos. Come mai è sempre così massiccia la partecipazione ad eventi simili, secondo lei?  
«Forse dipende dalla comunicazione che ruota attorno a questi eventi, o forse soltanto dalla volontà di partecipare ad un evento di massa. Credo sia per l’importanza del rito collettivo che coinvolge un po’ tutti. Nella cultura napoletana i riti collettivi sono importanti, hanno un forte richiamo. L’evento di massa però non facilita la fruizione del luogo. C’è da dire che luoghi normalmente gratuiti o dove c’è un ridottissimo biglietto di ingresso non registrano normalmente quel numero di presenze. Comunque tutte le iniziative finalizzate alla conoscenza delle cose e alla circolazione delle idee sono le benvenute. Preferisco che una persona entri e si renda conto di ciò che ha davanti piuttosto che ne resti lontana con un senso di distacco».

L’impressione è che la città non riesca a fare davvero “rete” per il turismo, come se non si dialogasse abbastanza tra istituzioni, enti culturali, esercizi commerciali. Lei che ne pensa? 
«Ci sono molte difficoltà oggettive a creare un coordinamento. Nel nostro piccolo proviamo a farlo e riscontriamo interesse e sensibilità da parte delle altre istituzioni culturali locali. Quando c’è la volontà funziona sempre, ma le difficoltà oggettive restano».

Intende dire che manca la volontà politica e istituzionale di fare rete?
«No, per carità, le istituzioni ci provano! Forse ci vorrebbe un coordinamento. Dovrebbe esserci un’istituzione, una figura preposta solo a quello, all’organizzazione di una rete. Non va bene che si tratti sempre di eventi sporadici legati al momento ma che non hanno una visione generale e che soprattutto non abbracciano un periodo lungo».

Quali sono le iniziative in programma a Palazzo Zevallos?
«Abbiamo un progetto in collaborazione con il Museo di Capodimonte. Venerdì mattina a Capodimonte ci sarà una lezione del professor Aceto sui rapporti tra il maestro napoletano Colantonio e Antonello da Messina, suo allievo; nel pomeriggio, il gruppo di studio si sposterà in sopralluogo a Palazzo Zevallos per visitare la mostra di Antonello da Messina. In primavera ospiteremo una nuova edizione dell’Ospite illustre con un dipinto di eccezione di cui però non posso rivelare nulla se non che verrà da Madrid».

La mostra di Antonello da Messina comprende anche degli shooting fotografici sul suo Ritratto d’uomo, come stanno andando?
«Hanno destato molta partecipazione e interesse. I visitatori hanno inviato tantissime richieste di partecipazione. Sabato, al primo appuntamento con Francesco Zizola erano in tantissimi a guardare semplicemente il fotografo professionista mentre operava sul campo. Si avvertiva fortissima sia la volontà di essere fotografati che semplicemente quella di assistere. Già da ieri su uno degli schermi che fanno da corredo all’esposizione passano a ripetizione i primi scatti di Zizola e devo dire che il confronto tra gli scatti e il dipinto è piuttosto impressionante: la luce, l’impostazione della figura, sembrano uguali all’originale. C’è persino un visitatore che è identico al modello originale».

A tal proposito il “Ritratto d’uomo” sembra quasi una foto più che un dipinto, non crede?
«È vero, è straordinario. Ci sono dettagli piccoli, minuziosi, che si fa fatica a vedere a occhio nudo. Nel percorso espositivo abbiamo previsto la proiezione dei dettagli del dipinto ingranditi e i visitatori rimangono sempre sorpresi dalla qualità dei particolari che ad una prima osservazione del ritratto non riescono a cogliere a occhio nudo».

La descrizione del “Ritratto” presente in Gallerie descrive l’espressione del volto del modello di Antonello da Messina come “un sorriso ironico”. A noi è sembrato piuttosto uno sguardo sprezzante, lei non crede?
«In realtà attorno all’espressione del ritratto c’è un dibattito che dura da anni. Zeri riteneva rappresentasse il piglio spregiudicato tipico di un bancario, Venturi lo riteneva un furbo personaggio dal sorriso bonario, nell’800 lo definirono addirittura un’icona del male, la rappresentazione del male per antonomasia. Credo sia questa la bellezza dell’arte: riuscire a scatenare dibattiti anche attorno all’espressione che esprimono le rughe del viso».

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