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Quando è un procuratore capo (di Napoli) a certificare la resa dello Stato alla legge degli ultrà negli stadi

Quando è un procuratore capo (di Napoli) a certificare la resa dello Stato alla legge degli ultrà negli stadi

Semmai ce ne fosse stato bisogno, la certificazione della resa dello Stato alla violenza negli stadi, al controllo delle curve da parte dei cosiddetti ultrà, arriva dal capo della Procura di Napoli Giovanni Colangelo le cui dichiarazioni oggi ritroviamo su più quotidiani napoletani. Ha parlato sia di quelli che a nostro avviso impropriamente vengono definiti baby-boss sia di quel che è avvenuto domenica nella curva A dello stadio San Paolo e che ha attirato l’attenzione dei giornali cittadini in questa settimana.

A una precisa domanda del giornalista Leandro Del Gaudio del Mattino, e cioè “Procuratore una brutta immagine, ma sono ancora possibili zone franche (il riferimento è agli scontri in curva A, ndr)? Possibile che in una città come Napoli si debbano tollerare zone off limits per lo Stato?”, Colangelo risponde così: «In astratto non è concepibile alcuna zona franca, in concreto esistono esigenze di ordine pubblico che rendono difficile un intervento in una curva popolata da ventimila persone. Da parte di prefetto e questore c’è attenzione altissima verso questi fenomeni, ma ogni intervento deve fare i conti con esigenze di tutela dell’ordine pubblico». Più chiaro di così…

È la risposta del capo della Procura cinque giorni dopo una domenica in cui in curva A al San Paolo è comparso uno striscione di minaccia nei confronti di Aurelio De Laurentiis e sono rispuntati i coltelli per il dominio del settore che equivale anche al dominio per altre attività che non riguardano aspetti strettamente calcistici. Si è scritto di scontri tra diverse fazioni, del ritorno di Genny detto ’a carogna. Insomma, quel che chi frequenta gli stadi – o li frequentava – ben conosce. Il tifo cosiddetto organizzato non ha nulla a che fare con quel che accade sul terreno di gioco. Il calcio è un pretesto. E qui ci viene in soccorso ancora una volta il procuratore Colangelo in una risposta a Titti Beneduce del Corriere del Mezzogiorno: «A mio parere non si tratta di un fatto nuovo. Napoli vive di interscambi: culturali, sociali, relazionali. I giovani camorristi portano allo stadio i metodi, le abitudini che usano a casa loro. Il fenomeno non si esaurisce nelle strade e nei quartieri. La città, per fortuna, non è fatta a compartimenti stagni».

E il procuratore, ahinoi, non ha nemmeno torto. Potremmo soffermarci sull’aspetto napoletano e invitare coloro i quali, nonostante le minacce a De Laurentiis (“Vuoi fare la fine di Ferlaino?”) si sono lasciati andare a crisi isteriche per un’operazione di calciomercato non andata a buon fine. Insomma siamo quasi all’inconsapevole fiancheggiamento.

Ma ci allontaniamo anche da Napoli. Domenica, seconda giornata di campionato, si è giocato anche allo stadio Olimpico della capitale. Roma-Juventus. Con la curva spacchettata per volere di prefetto e questore e la conseguente protesta dei “tifosi organizzati” che hanno mostrato le spalle al campo e invitato (immaginiamo teneramente) tutti i presenti in Curva Sud a non tifare. 

È successo anche altro a Roma domenica pomeriggio. Ecco cosa ha scritto l’edizione romana di Repubblica: «Gli ultrà cacciano i celerini dalla curva al grido di “In curva non vi volemo”. Roma-Juve diventa terra di frontiera, i tifosi che difendono il loro territorio da quella che considerano un’invasione inaccettabile dei tutori dell’ordine. Attimi di tensione che per fortuna non finiscono in violenza, ma agitano un primo tempo che la curva sud vive a lungo di spalle. La schiena al campo in segno di protesta, urlando cori contro poliziotti e carabinieri, oltre al solito slogan anti-segmentazione: “Questa curva non si divide”».

Quel che non è scritto che all’indirizzo degli agenti sono state lanciate buste contenente urina e che gli agenti, per evitare il peggio, si sono ritirati. Proprio come ha detto il capo della Procura di Napoli Colangelo. 

Esiste quindi una direttiva ben precisa, come sul Napolista peraltro abbiamo più volte scritto. Le curve, intese come feudi degli ultrà, sono zone franche. L’ordine pubblico ha di fatto abdicato alla propria funzione. Si è scelto di tenere, per modo di dire, il fenomeno sotto osservazione. Poi ogni tanto, quando la situazione scappa di mano, c’è una levata di scudi, col Viminale che chiede alle società di non essere omertose e i club che protestano perché si sentono abbandonati.

L’unica conclusione è che gli stadi italiani non potranno mai essere luoghi dove la domenica – o il sabato o il lunedì – si va a trascorrere spensieratamente con la famiglia un pomeriggio o una serata. È un luogo dove le regole dell’ordine pubblico non valgono. È una zona franca, un punto di sfogo.

Anche se qualche differenza ancora c’è. A Roma, lunedì, sul Corriere della Sera, Goffredo Buccini ha firmato un editoriale che non lascia adito a dubbi: «Il fair play di Pallotta può sconfiggere gli “idiots” violenti della curva romanista», in cui scrive: “Piaccia o no, Pallotta ha regalato ai romanisti un deciso ritorno ai piani alti. E, con la sua resistenza contro gli «idiots» della curva, a tutti noi l’idea che non dobbiamo accettare ogni nefandezza nel nome del dio pallone. Churchill sosteneva che noi italiani prendiamo la guerra come una partita di calcio e le partite di calcio come una guerra. Forse ci voleva un italiano cresciuto dall’altra parte dell’Atlantico per dirci che è tempo di cambiare”.

A Napoli, invece, nonostante posizioni condivisibili – come quella del Mattino, ad esempio, che ha preso posizione – ci sono ancora tanti segmenti del tifo cosiddetto ordinario che faticano ad anteporre l’importanza della sicurezza negli stadi alla loro rabbia nei confronti di un presidente soprannominato pappone.
Massimiliano Gallo

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