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Il paragone di Sarri tra il Napoli e l’Empoli fa tornare alla mente Sacchi che obbligava il Milan a guardare le cassette del Parma

Il paragone di Sarri tra il Napoli e l’Empoli fa tornare alla mente Sacchi che obbligava il Milan a guardare le cassette del Parma

La conferenza stampa di oggi di Maurizio Sarri ha lasciato un po’ interdetti l’ambiente e i tifosi. È stata una conferenza strana. Ovviamente dipende dalle interpretazioni ma a tratti è parso un Sarri sulla difensiva, come se fosse con le spalle al muro, come se si stesse difendendo da qualcosa. Alcuni quotidiani on line hanno puntato sulla dichiarazione: «Sono un allenatore da progetto, chi mi ha preso lo sa», pronunciata per ribadire che occorre del tempo, che oggi guardare la classifica (che vede il Napoli con un punto in due partite) conta poco. Ma la frase che più ha colpito i tifosi è stata quella relativa all’Empoli, quando Sarri ha paragonato il Napoli all’organizzazione di gioco dei toscani. La dichiarazione «Noi saremo come loro tra tre anni» ha colpito, è innegabile. Viene naturale chiedersi: “Tra tre anni come l’Empoli? Tra tre anni come una squadra che l’anno scorso ce ne avrà pure segnati quattro – come oggi Sarri ha sottolineato in conferenza stampa non sappiamo se per pungolare i suoi o per cosa – ma che in fin dei conti si è piazzata quindicesima e ha vinto otto partite su trentotto e che quest’anno è a zero punti?”.

Basta farsi un giro sui social, anche sul Napolista, per scoprire che persino i tifosi più ben disposti nei confronti del tecnico toscano hanno storto il naso. Conversando col milanista Michele Fusco, che a quei tempi frequentava Milanello per conto del mitico quotidiano “Il Giorno”, ecco che si accende la lampadina: potente risata seguita dalla frase “proprio come Sacchi che disse ai calciatori del Milan che avrebbero dovuto giocare come il Parma, quelli impazzirono dalla rabbia. Oh, ovviamente quello era Sacchi eh”.

Ancora Sacchi? E già. E la storia è proprio quella raccontata da Fusco. Ecco come il sito nonsolocalcio.com ricorda quei tempi e l’approccio tra Sacchi e Franco Baresi: “I rapporti con Arrigo Sacchi, una storia a parte nella carriera di Franco Baresi. Quando il tecnico di Fusignano arrivò al Milan, l’approccio non fu dei migliori. Soprattutto perché pretendeva di far giocare i rossoneri come i suoi al Parma e per farlo li costringeva a sorbirsi intere videocassette di partite della squadra gialloblù, con inevitabili conseguenze sulla loro integrità testicolare. Inoltre Sacchi era stato portato da Berlusconi, che aveva condizionato il pagamento dei premi al raggiungimento di traguardi agonistici e la commisione interna della squadra, con Baresi leader, si era (inutilmente) ribellata”.

Non solo. Ecco cosa scrisse nell’ottobre del 1987 Alberto Costa, storica firma rossonera del Corriere della Sera che avrebbe poi curato la sua biografia: «Baresi vuole lasciare il Milan. Il capitano rossonero ha sempre mal digerito la concezione che Berlusconi ha della vita: un efficientismo che, in cambio del denaro (molto denaro, per la verità), pretende la dedizione più assoluta. Queste perplessità di fondo si sono trasformate in malessere con l’arrivo di Arrigo Sacchi. Franco Baresi ha cercato di instaurare un corretto rapporto con il nuovo tecnico, ma, proprio di recente, si è dovuto arrendere: lui e Sacchi viaggiano su frequenze differenti. Un esempio? Uno dei sistemi didattici più cari al giovane allenatore di Fusignano, quello delle videocassette, ha provocato in Franco Baresi una crisi di rigetto, per il continuo ricorso che Sacchi fa alle registrazioni delle partite disputate dal Parma nello scorso campionato di B. Per ciascun milanista i riferimenti sono d’obbligo: “Vedi come fa questo? Vedi come si muove quello?”. In particolare, a Baresi tocca seguire nei minimi dettagli le prestazioni di Signorini, che del Parma era il libero». Quel Parma allora era in serie B anche se l’anno precedente aveva eliminato il Milan in Coppa Italia battendolo due volte a San Siro. Fu guardando quelle due partite che Berlusconi decise di ingaggiare Sacchi.

Chissà se scene più o meno simili accadano nello spogliatoio del Napoli con i centrali difensivi – qualcuno come Albiol è stato campione del mondo – invitati ad apprendere i movimenti di Rugani e Tonelli. Ovviamente nello sport sono sempre i risultati a fare la differenza. Quella squadra vinse quello che vinse. Eppure gli inizi non furono affatto facili. Li ricorda lo stesso Arrigo Sacchi nella sua biografia “Calcio totale”. L’allenatore di Fusignano ricorda le giornate che precedettero l’eliminazione in Coppa Uefa subita dall’Espanyol. «In allenamento, ma anche nello spogliatoio – scrive Sacchi – i giocatori parlavano più del saliscendi dell’indice della Borsa di Milano che dell’incontro. Io dissi dentro di me: “Si vede che in serie A funziona così”». «Alla fine della partita capii che non si poteva tollerare una tale deconcentrazione. I giocatori non erano con la testa nella partita e così avevamo perso. Capii che dovevamo ancora lavorare dal punto di vista della mentalità. Avevo sbagliato, mi ero come snaturato, cercando di essere meno rigido con me stesso e con i giocatori, e l’avevo pagata cara. La sera mi chiamò Berlusconi: “Ha bisogno?”. “Sì, ho bisogno”».

Sacchi racconta della visita a Milanello di Berlusconi alla vigilia di Verona-Milan, partita che i milanisti ritengono il crocevia fondamentale di quella stagione. Sacchi racconta così quel pomeriggio: «Berlusconi ci raggiunse il sabato nello spogliatoio e fece un discorso brevissimo, ma di straordinaria efficacia: “Questo allenatore l’ho scelto io, gode della massima fiducia. Chi non segue le indicazioni non rimarrà” e fece un gesto eloquente con la mano. “Auguro a tutti un buon lavoro e se ne andò”. Nello spogliatoio li presi di petto: “Io sono un Signor Nessuno” dissi loro, “ma anche voi, fino a oggi, non avete fatto cose mirabolanti. L’anno scorso siete arrivati quinti a pari merito con la Sampdoria. Sono dieci anni che non vincete lo scudetto e da venti la Coppa dei Campioni. Mi sembra che possiate fare una riflessione seria su questo”». Finì che il Milan vinse a Verona 1-0 con gol di Virdis.

Forse c’è un altro esempio che rende ancor più evidente il clima di scetticismo che c’era attorno all’omino di Fusignano. È un articolo scritto da Oreste Del Buono per Repubblica il 12 settembre del 1987. Così titolato: “Lettera da una Milano in grigio”. Il celebre giornalista ripercorre i bei tempi andati, quando Milano era padrona del calcio. «I discorsi generali – scrive Del Buono – non sanno comunque spiegare il perché il calcio sia tanto decaduto come organizzazione qui a Milano se non con il fatto che Milano ha conosciuto un lungo periodo di stanchezza in tutti i campi. Anche, di conseguenza, in quello dell’organizzazione calcistica. Un paragone con quanto è stato realizzato a Napoli è persino umiliante. Lo scudetto dello scorso campionato è stato conseguito e meritato attraverso anni di preparazione. Persino di controllo del pubblico». E conclude così: «Il colore preminente è il grigio. Ma, dopotutto, lo stilista Giorgio Armani dice che il grigio, una dose di grigio, serve a esaltare gli altri colori. Che possa andar così anche nel calcio? Quel che è certo è che, di grigiore, a disposizione ne abbiamo tanto. Riuscirà l’ ex rossonero Trapattoni a vincere anche senza Boniperti? E riuscirà Sacchi a fare almeno pareggiare il Milan con la sua ex squadra Parma, sia pure in partita amichevole fuori campionato?». Il finale di quella stagione e gli anni avvenire smentirono seccamente il pessimismo di Del Buono. 

Come dice Fusco: “Ma quello era Sacchi eh”. Noi, in attesa che parli il campo, riportiamo questo precedente.
Massimiliano Gallo (la foto, di Renato Orsingher, la abbiamo trovata su Internet. È un inedito, con Sacchi a colloquio con i tre olandesi e Rummenigge)

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