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In attesa di capire dove può arrivare questo Napoli, evitiamo le montagne russe

In attesa di capire dove può arrivare questo Napoli, evitiamo le montagne russe

Secondo miglior attacco, settima difesa (un solo gol subito nelle ultime tre partite di campionato) e nono posto in classifica (che potrebbe diventare decimo se l’Atalanta oggi dovesse battere la Sampdoria). Eppure, nonostante una posizione non eccellente, la realtà percepita del Napoli è indubbiamente più rosea. Un po’ è il potere del successo contro la Juventus che da queste parti è sempre vissuta come la nemica storica senza alcuna possibilità di emanciparsi; un po’ perché questo campionato dopo sei giornate è alla disperata ricerca di una squadra leader e al momento non se ne scorge una nemmeno in lontananza.

Della vittoria del Napoli sulla Juventus si è detto e scritto tutto. I quotidiani nazionali, com’è giusto che sia, si sono soffermati di più sulla crisi dei bianconeri. Crisi che sabato sera al San Paolo è apparsa piuttosto evidente, senza per questo sminuire la portata del successo degli azzurri: le partite vanno sempre vinte. I bianconeri sono parsi in crisi di identità, privi di quella grinta, di quella cattiveria che hanno contribuito a renderli la squadra più odiata d’Italia. Una formazione, va detto anche questo, priva di Barzagli, Lichtsteiner, Caceres, Khedira, Marchisio, Mandzukic e con Morata a mezzo servizio. Cinque punti in sei partite e quindicesimo posto in classifica.  

Detto questo, non è colpa del Napoli se la squadra di Allegri è ridotta così. Gli uomini di Sarri hanno giocato una partita ordinata, attenta, hanno approfittato delle lacune degli avversari e hanno colpito dove erano più vulnerabili. Nel dopo-partita Sarri ha riscattato le dichiarazioni del giorno prima, quando – forse per comprensibile ricerca del consenso – ci aveva riportati a quando una vittoria sui bianconeri salvava un’intera stagione (ricordo ancora che parlammo per mesi del pari targato De Rosa-Dirceu contro la Juve di Platini). Dopo il successo, il tecnico si è sentito sollevato e ai microfoni di Sky ha dichiarato che parlerà da tifoso solo a casa con la moglie. E ci è piaciuto molto di più.

Sarri ci ha tenuto a sottolineare un aspetto della partita. «Non credo che abbiamo vinto per la tattica». E qui veniamo a un passaggio importante. Oggi, soprattutto in Italia, c’è la malattia della tattica, potremmo definirla tattichite, una sorta di patologia. Tutto è spiegato con frecce, rombi, ampiezze, occupazione degli spazi. Giusto. Ma giusto a bocce ferme. Poi lo sport è agonismo. Qualsiasi sport. Qualsiasi sfida viene preparata: che si parli di tennis, di ciclismo, di pugilato. Poi arriva un momento in cui devi semplicemente avere più voglia dell’avversario, più decisione. Quella, per esempio, che ha avuto Reina a fine primo tempo quando ha strappato dai piedi di Zaza quel pallone che gli era stato servito da Koulibaly. Quella che ha avuto Higuain che andava a pressare sul loro vertice basso Hernanes. Le partite si vincono prima nella testa. Solo dopo averle vinte nella testa si vincono sul campo.     

Ed è questo il motivo per cui il Napoli è percepito più su del suo nono posto in classifica. Perché ha mostrato testa e perché ha espresso il calcio più bello del campionato. Contro la Lazio, nel primo tempo contro la Sampdoria e contro la Juventus che negli ultimi trenta minuti si è resa pericolosa solo una volta con Morata. Dopo aver visto all’opera l’Inter di Mancini, il Milan di Mihajlovic, la stessa Juve e la Roma di Garcia, la domanda è inevitabile: dove può arrivare questo Napoli? Non possiamo saperlo. Soprattutto perché non sappiamo cosa passa per la testa di quei calciatori. Non sappiamo quanto questo gruppo stia crescendo, quanto ci creda realmente, quali siano gli obiettivi che – pur senza dichiararli – hanno in testa. Perché giocare un campionato con l’obiettivo di far bene e divertirsi e giocarne uno con l’idea di arrivare in fondo ai primi posti sono due sport diversi. A un certo punto la tensione ti assale e ti senti stanco al solo alzarti dal letto.

Dopo la Juventus è ricomparsa quella parolina. L’ha nominata De Laurentiis e anche Hamsik. Era affiorata anche dopo la manita alla Lazio, per poi essere ricacciata in gola all’indomani dello zero a zero contro il Carpi. Occorre echilibrio, altrimenti rischiamo di non scendere mai da queste montagne russe. La verità è che non conosciamo l’orizzonte di questo Napoli. Abbiamo visto che può giocare partite straordinarie così come abbiamo constatato che squadre in grado di vincere sempre non ce ne sono. L’Inter, dopo cinque successi consecutivi, è stata mortificata dalla Fiorentina. Come ha scritto il professor Trombetti, il Napoli di Sarri è atteso all’esame più importante: la conquista della continuità. Traguardo che si raggiunge solo se è scattato qualcosa nella testa. Non c’entrano niente i moduli e la difesa alta. Milano, domenica prossima, è un primo test. Che però andrebbe vissuto (utopia) con serenità dall’ambiente. Se cominciassimo noi a evitare di oscillare da una domenica all’altra dallo scudetto all’immaturità, probabilmente ne gioverebbe anche la squadra. Cominciamo col fotografare la realtà: siamo noni in classifica, abbiamo giocato un gran bel calcio, stiamo migliorando a vista d’occhio nella fase difensiva e intorno a noi il livello non è altissimo. Il resto non lo sappiamo. È tutto in quell’entità misteriosa che viene sintetizzata col termine “spogliatoio”. 
Massimiliano Gallo

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