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La sera di Doha capimmo la svolta proprietaria di De Laurentiis: nel Napoli fa tutto lui

La sera di Doha capimmo la svolta proprietaria di De Laurentiis: nel Napoli fa tutto lui

Le vicende societarie e calcistiche che la SSC Napoli sta vivendo in questi giorni non sono frutto di improvvisazione come molti potrebbero pensare. La trattativa con Mihajlovic, il veloce corteggiamento terminato con il rifiuto da parte di Unai Emery, l’arrivo di Maurizio Sarri, la trattativa di Saponara e Perotti, hanno tutti una radice comune. La decisione del presidente di essere, come è stato definito spesso, un uomo solo al comando. La decisione non è dovuta alla stagione passata ritenuta fallimentare da molti ma era stata già presa in tempi non sospetti. Questo “nuovo Napoli” ha origini che risalgono a mesi fa, probabilmente alla notte di Bilbao. Fu lì che in molti avemmo la sensazione di “giocattolo rotto”. Fu lì che iniziò l’inaspettato braccio di ferro tra il numero uno e l’allora allenatore. Il primo, deluso dal risultato sportivo non conforme agli investimenti fatti, il secondo, insoddisfatto del mercato, assunse il mazzarriano atteggiamento del “metto in campo quello che ho”. All’epoca ci saremmo aspettati da Benitez una mossa d’orgoglio e, forse di correttezza professionale, come avvenne all’epoca della sua avventura nella Milano nerazzurra piuttosto che l’atteggiamento di “questo passa il convento”. All’epoca in molti pensammo “adesso o gli fanno un mercato serio oppure se ne va”. La storia ci ha parlato di scelte differenti e di risultati deludenti.

La situazione in cui ci troviamo adesso fu chiara nella magica serata di Doha. Sebbene avessimo il cuore in festa e la gioia per una vittoria inseguita e raggiunta al fotofinish, nonostante fossimo tutti impegnati a rivendicare la vittoria nei confronti dei nostri amici/nemici juventini, a nessuno di noi sfuggì la strana situazione creatasi al momento del sollevamento del terzo trofeo del dopo D10S. Tutti avemmo una sensazione strana. Tutti pensammo che nelle immagini di festa trasmesse dalla televisione ci fosse una nota stonata. Dov’è l’allenatore? Pensammo in molti. Che ci fa il presidente in prima fila? A molti non sfuggì l’espressione di sorpresa, di incredulità e, quasi, di compassione che si stampò sul volto del capitano che guardava quell’omino al suo fianco, alto la metà di lui ma con il qudruplo dei suoi anni, che voleva alzare la coppa al posto suo. Per poterla portare più in alto possibile, il capitano fu costretto quasi a strappargliela di mano ma era chiaro che il presidente avrebbe preferito alzarla lui da solo.

Quella fu l’immagine del Napoli che si sta materializzando. Una società guidata da un unico uomo che sembra aver abbandonato l’umiltà dei primi anni, quando iniziava ad imparare il mondo del pallone da Pierpaolo Marino, e che adesso dà l’impressione di ritenere di conoscere quello stesso mondo meglio di chiunque altro. Un uomo pronto a mostrare il petto gonfio quando c’è da prendersi il merito dei risultati ed altrettanto pronto a scomparire per mesi quando il vento non gonfia le vele.

Più che l’ingaggio di persone dallo scarno curriculum, quello che lascia perplessa e preoccupata una buona fetta di tifosi, di amanti di questi colori, è, forse, proprio questo atteggiamento, questa scelta di voler ricoprire tutti i ruoli societari associata al dubbio che non ci siano necessariamente le capacità vere per poterlo fare.

Un manager deve essere in grado di gestire persone e situazioni. Ad un manager sono richiesti i risultati. Un manager non può e non deve fare contemporaneamente il direttore commerciale, il direttore di produzione, il direttore del personale, il responsabile dell’R&D e magari anche della gestione dei sistemi di qualità. Un manager è chiamato a scegliere le persone che sappiano ricoprire al meglio quei ruoli ed è chiamato ad investire su di loro in proporzione ai risultati che essi sono in grado di maturare.

Finché non sarà così, la società non riuscirà a diventare una grande azienda ma, come purtroppo avviene in troppe realtà della nostra terra, resterà sempre una “grossa puteca”. Magari fatturerà milioni di euro e avra utili da capogiro ma sarà sempre una puteca senza organizzazione all’interno della quale ogni decisione dovrà passare attraverso “’o masto” che, però, non necessariamente avrà le competenze per effettuare la scelta migliore.

Per aspirare a diventare una grande azienda, la SSC Napoli, probabilmente, avrebbe bisogno di recuperare un po’ dell’umiltà di dieci anni fa e dovrebbe iniziare a fidarsi delle persone, calciatori, dipendenti, dirigenti, che ha messo sotto contratto e farli lavorare serenamente per raggiugere gli obiettivi a loro assegnati.

#forzanapolisempre

Raffaello Corona Mendozza @mendo154

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