E’ finalmente ufficiale l’arrivo di Sarri, ed è perciò il momento giusto (di fronte a tante sollecitazioni che arrivano da messaggi sui social o dai commenti al sito) per dare un profilo definito alla posizione dei cosiddetti “rafaeliti” di fronte a questa nuova situazione. Lo farò per l’ultima volta. La mia opinione è che per due anni gli ideologi non siamo stati noi, o forse (non avendo io una opinione cattiva della parola ideologia) dovrei dire che gli ideologi non siamo stati soltanto noi. Al nostro pensiero, solido, sincero, convinto e strutturato, se ne è contrapposto un altro che, prima ancora di trovare conforto nei risultati, si è nutrito di un’ostilità a prescindere, ed era un pensiero molto radicato tra chi riteneva De Laurentiis responsabile di scarsi investimenti e/o tra chi riteneva un danno tecnico la perdita di Mazzarri.
L’interpretazione di molti, secondo me sbagliata, consisteva nell’associare la nostra fiducia nel lavoro di Rafa Benitez (che prese forma nel manifesto) a un rigetto denigratorio del lavoro del precedente allenatore. Io me lo ricordo bene come andò. Dopo le prime vittorie nel primo anno, mi sentivo dire che le avversarie affrontate non erano poi chissà che cosa (si arrivò all’assurdo di storcere la bocca davanti ai 2-1 contro Borussia e Milan perché avevamo sofferto nel finale). Il rigetto per Benitez è nato allora, subito, non per il quinto posto di adesso. Sorvolo sul ruolo di giornali, radio private e televisioni. Pochi hanno voluto capire che amare Higuain non voleva dire non aver amato Cavani. Difendere Rafael non significava voler dimenticare Reina. Spesso mi sono sentito opporre alle mie convinzioni l’argomento dei risultati di Mazzarri, conquiste che peraltro non avevo nessuna intenzione di negargli. Sono giunto a pensare (mi direte se sbaglio) che io mi sono goduto le vittorie di Mazzarri e di Benitez, altri si sono goduti solo quelle di Mazzarri; io ho sofferto per le sconfitte di Mazzarri e di Benitez, altri solo per quelle di Mazzarri. Io sono stato additato come malato di ideologia, ma la mia domanda oggi è: perché per voi questo Napoli è stato meno Napoli di altri? Perché gli avete voluto così poco bene? Per due anni, dopo un pareggio in casa o una sconfitta, sono stato preso in giro più dai miei fratelli tifosi del Napoli che dai tifosi avversari. Questo clima ha impedito di vedere a molti che questa squadra è stata la più vincente nel deserto del dopo Maradona.
Dico questo perché ora non saremo noi a fare questo errore. Elogiare il lavoro di Sarri, sostenerlo come faremo, difenderlo tutte le volte che andrà difeso, non significherà rinnegare o sconfessare il cosidetto “rafaelismo”. Se ne avete voglia e se avete un attimo di tempo, andatevi a rileggere il manifesto adesso, con occhi nuovi, e forse finalmente ci capiremo meglio. Difenderemo il lavoro di Sarri, come abbiamo fatto con il lavoro di Benitez, da tutti i giudizi affrettati, dall’impazienza, dalla smania per il risultato rapido e a tutti i costi, continuando a conservare la nostra visione del calcio e del tifo, convinti che alla fine resteremo in pochi pure stavolta e felici di sbagliarci se non dovesse essere così. Il “rafaelismo” prese questo nome perché al suo arrivo individuammo in Rafa Benitez una figura che aveva in sé e nella sua storia le caratteristiche professionali e umane per far fare al Napoli, a noi, al tifo del San Paolo, al tifo della città, un passo avanti, un passo verso la modernità e verso la normalità internazionale. Tutti bravi a dir male del calcio italiano, quando però dall’estero arriva uno straniero che può emendarlo scatta la reazione. Abbiamo sempre cercato, nell’ambito di questa forte esperienza di condivisione, di smontare l’idea molto rassicurante di essere noi quelli speciali, di essere noi il popolo a cui gli altri dovevano adattarsi. Superfluo sarebbe ora ripetere certi concetti, mettere in fila fatti e avvenimenti: rischierei di annoiarvi, com’è successo spesso in questi due anni, quando perfino articoli ironici e spesso auto-ironici, articoli che miravano a tenere uno sguardo leggero sul calcio, sono stati fraintesi (e questa è colpa mia), criticati o derisi.
E allora con chiarezza, una volta per tutte. Maurizio Sarri è il nostro allenatore come lo è stato Rafa Benitez e come lo sarebbe stato Mihajlovic se fosse toccato a lui. Non vuol dire che sono tutti uguali. Nella biografia di Benitez avevamo individuato certi passaggi e certi spunti che ci avevano convinto fosse l’uomo giusto per cambiare il corso del club, la sua struttura, la sua impostazione, per superare certi limiti. Credevamo che la sua funzione nel Napoli dovesse avere uno sguardo lungo, proiettato avanti negli anni, e che dovesse andare oltre una formazione sbagliata, un cambio non riuscito, un pareggio in casa, un Hamsik venti metri avanti o dietro. Io volevo guardare a lui con lo stesso passo lungo con cui altrove hanno guardato Ferguson, Wenger, Paisley, Clough. Benitez aveva per me, “rafaelita”, la credibilità e il carisma per fare del Napoli, con il tempo, nel tempo, una cosa differente dal Napoli che c’è sempre stato prima di lui. Pensavamo che avrebbe costretto De Laurentiis a entrare in un’altra dimensione: con le sue relazioni sul mercato e con la sua visione da manager messa a punto in Inghilterra. Pensavamo che con lui sarebbero migliorate le strutture e la comunicazione. Tutte cose che, per esempio, non immagino che siano in grado di fare altri allenatori, per esempio Mihajlovic (che ha certamente altre virtù), ma comunque non per questo il nostro sostegno a lui, una volta in campo, sarebbe stato inferiore.
Può farle Sarri queste cose? Può spingere il Napoli in un’altra dimensione? Può spingerlo oltre la media della propria storia? Può tenerlo stabilmente al vertice? Può spingere De Laurentiis a investire tutto quello che potrà investire? Difficile immaginare di sì guardando quello che è stato finora il suo cammino, ma chi lo sa. Se ci si nega alla speranza, la speranza batte altre vie. In ogni caso, anche un allenatore dal curriculum meno abbagliante ci avrà al suo fianco, se è possibile perfino di più. Crescere con Benitez per noi non voleva dire arrivare secondi dopo essere stati terzi. Crescere con Benitez per noi voleva dire procedere a una semina continua, restare ai vertici sempre. Fallire con Benitez per noi non voleva dire arrivare quarti (o quinti, o sesti) dopo essere stati terzi (ehi, con Mazzarri siamo stati secondi, gne gne). Fallire con Benitez voleva dire restare quelli di prima, concentrati sul risultato e basta. Benitez era per me il simbolo di un’idea: uno scudetto vinto non si può scontare con 25 anni di buio. Meglio 10 secondi posti che uno scudetto e nove anni di B. Esiste un “rafaelismo” senza Rafa: se la cosa non disturba qualcuno, vuol dire che lo chiameremo amore per lo sport.
Il Ciuccio