Internazionalizzazione. Empolizzazione. Udinesizzazione. Embè, mettiamoci pure Annunciazione. Annunciazione. E chiudiamo, con l’ironia sublime di Massimo Troisi, il cerchio delle frenesie estive dei maitres à penser calcistici di casa nostra che, per come le sfornano, somigliano sempre più ai pizzaioli in cerca di gloria i quali agli ingredienti tradizionali ne aggiungono altri che avrebbero fatto inorridire la regina Margherita. L’ultima ricetta è di un giovane e super fantasioso pizzaiolo di un locale storico della Sanità che utilizza tonno rosso di Carloforte, pomodorino rosso e giallo, papaccella di Brusciano, bocconcini di mozzarella e olive ammaccate del Cilento. Roba per stomaci di ferro, proprio come i discorsi dei nostri maitres à penser che in qualche modo oscurano e fanno rimpiangere le chiacchiere del bar sport che hanno fatto da sottofondo ingenuo e casareccio
Cosa si nasconde, alle corte, dietro il concetto di “empolizzazione” del Napoli? Niente altro, nostro giudizio, che la voglia matta di annunciare, all’insegna del mitico “ve l’avevo detto io”, la fine della belle èpoque del Napoli che tremare il mondo fa e il suo, consequenziale, ridimensionamento, dopo un biennio folle, al rango che compete ad una società senza stadio, senza progetto e con un allenatore sempre al di sopra delle righe. In soldoni: niente più sogni guagliù e, piuttosto, attenti alla piazza che potrebbe giocare brutti scherzi. Discorsi pericolosi anche perché clamorosamente fuori centro come dimostrato per ultimo dalla pubblicazione del ranking Uefa che ha insediato il club di De Laurentiis alla ventesima posizione. Un balzo di undici posti, nessun altro club è stato capace di tanto in una sola volta; Inter, Milan e Roma arrancano dietro, la Juve ci precede ma di sole sei lunghezze. Alla faccia di quanto alcuni maestri di pensiero calcistico avevano sentenziato: questa squadra ha vinto solo coppette da quattro un soldo.
Come la mettiamo? Mandiamo sotto inchiesta per brogli i compilatori della classifica Uefa o mettiamo in castigo in ginocchio e dietro la lavagna, i soloni del lamento scocciatore? La seconda che ho detto, naturalmente, ma non basta a placare il nostro stato d’animo turbato dai riferimenti alle turbolenze della piazza che sono proseguite anche dopo l’esternazione ginevrina di De Laurentiis con il riferimento – molto opportuno e riparatore rispetto a certe uscite che avevano suscitato perplessità – a Pietro Germi e alla sua lezione cinematografica sulla provincia italiana.
E nun ce vonno sta’ verrebbe da dire, ma ci attestiamo su un più tranquillo invito ad accettare che il calcio si gioca sul campo e non attaccati a un microfono in cerca di audience o pigiando sui tasti del computer. Concludiamo in sintonia con quanto detto: se questi sono i fatti, il rafaelismo che è giusto praticare anche in assenza di Rafa Benitez impone di essere molto critici e di denunciare il vuoto di alcuni ragionamenti e di segnalare la pericolosità di alcune affermazioni che riguardano l’umore dei tifosi. Su quest’ultimo punto, in verità, possiamo essere un po’ più tranquilli perché notiamo con piacere che su questa strada ci siamo incamminati in tanti, una strada che ci ha fatto guadagnare più posizioni di quante ne abbia ottenute il club nel ranking europeo. I commenti che leggiamo sui social network, infatti, esprimono più cautela che rabbia: è incoraggiante. Anche se il bello, cioè la campagna acquisti, deve ancora iniziare. La curva degli umori della tifoseria è legata alle decisioni di Gonzalo Higuain, ma De Laurentiis è avvertito e, riteniamo, ha pronte le contromosse.
Carlo Franco