In questo calcio e in questa città il Napoli di De Laurentiis è un miracolo. Facciamocene una ragione

Se ci mette la testa e un po’ più di gamba il Napoli può giocarsela con chiunque. Restano inspiegabili e imperdonabili le “amnesie” di San Siro col Milan, di Palermo e Torino. Sei punti regalati. Al Milan senza giocare, al Palermo e al Torino giocando male. Il secondo posto sarebbe già azzurro. Il Napoli perde […]

Se ci mette la testa e un po’ più di gamba il Napoli può giocarsela con chiunque. Restano inspiegabili e imperdonabili le “amnesie” di San Siro col Milan, di Palermo e Torino. Sei punti regalati. Al Milan senza giocare, al Palermo e al Torino giocando male. Il secondo posto sarebbe già azzurro.

Il Napoli perde improvvisamente identità e personalità perché non ha un gruppo coeso di trascinatori, di orgogliosi appartenenti alla maglia azzurra e non ha un leader che piloti in campo la squadra. È una formazione mista di stranieri, alcuni di gran livello, che non fanno blocco.

Manca lo zoccolo duro di giocatori disposti a gettare sempre il cuore oltre l’ostacolo. Ce l’ha solo la Juve, neanche la Roma, ed è il gruppo degli italiani profondamente juventini. In casa bianconera l’appartenenza è un dogma. I ribelli, gli individualisti, i negligenti o si mettono in riga o sono fuori.

La maglia azzurra è una maglia leggera. Nel supermercato veloce del calcio moderno, nessuno sembra voler mettere radici nel Napoli, vuoi per le condizioni economiche ragionevolmente ridotte, vuoi per un distacco totale dalla storia azzurra (sbiadita quella suggestione di “vado a giocare nella squadra di Maradona”), vuoi per lo scarso peso politico del club che rende più difficile il conseguimento di certi traguardi, vuoi per le condizioni ambientali (da Castelvolturno al San Paolo, impianti di bassissimo livello). È anche finito quel calcio romantico che fece scegliere a Maradona di venire a Napoli.

Nella grossa crisi tecnica e finanziaria del calcio italiano, i campioni stranieri (quelli che si accontentano di ingaggi modesti) e le “speranze” indigene hanno un solo obiettivo, la Juventus, che, per la sua storia di vittorie e le regole precise che impone, assicura un minimo di gloria e di successi. Un club di soldatini, come li definì Cassano, che però funziona.

Il Napoli di De Laurentiis è un autentico miracolo. Da cinque anni la squadra è in alto in classifica, due volte finalista e vincitrice in Coppa Italia, buone partecipazioni europee e, da cinque anni, il bilancio è in ordine mentre la Juve è sotto, le milanesi devono vendere per acquistare, la Roma potrebbe scoppiare, il Parma sta fallendo.

Se si giudica questo Napoli nell’ambito delle realtà territoriali, in una città che non conta più nulla, l’apprezzamento non può che essere positivo anche se lo scudetto rimane un sogno. Neanche le americanate romane ci sono riuscite. Non è una condanna, ma è la realtà.

Questo il Napoli può fare. E, obiettivamente, non verranno mai quei due-tre fuoriclasse di cui la squadra ha bisogno per vincere. I motivi li abbiamo già detti. Tutto il calcio italiano è alla periferia del calcio europeo (suoniamo le trombe per cinque squadre in corsa nell’Europa League!). È anche e, soprattutto, una questione di soldi. Le differenze, poi, sono segnate in partenza. Basta pensare alla suddivisione dei diritti televisivi, ormai la maggiore ed essenziale forma di finanziamento dei club.

C’è stato un solo imprenditore, neanche un imprenditore cittadino, che ha rilevato il Napoli dal fallimento e non ha risorse arabe, russe o cinesi per fare la squadra “da scudetto”. Non dice niente la crisi del calcio milanese? Solo con pazienza, tenacia e i necessari colpi di fortuna (che De Laurentiis ha realizzato nei suoi dieci anni) si può restare in alto in attesa che congiunzioni favorevoli di competenza, danaro, peso politico e dedizione di atleti compiano il miracolo del successo assoluto.

Il Napoli di Benitez si batte su tre fronti. Non è stato sempre così. Se vince la Coppa Italia e centra il secondo posto rientrando in Champions dalla porta principale vogliamo storcere il naso? Naturalmente, possiamo criticare a ruota libera ogni partita, gli errori dei giocatori, quelli del tecnico, gli arbitri, il modulo di gioco, il presidente che “non caccia i soldi” (di suoi non ne ha), lo stadio indegno di un grande club. Dettagli che hanno la loro importanza ma che, fondamentalmente, non sono i veri ostacoli per vincere lo scudetto.

I club ricchi non lasciano spazio. Solo nel calcio francese, più democratico per mancanza di club eccellenti, tre formazioni “minori” hanno vinto il campionato negli ultimi sei anni: Bordeaux, Lilla, Montpellier. In Inghilterra, dittatura assoluta dei club più potenti: l’ultimo successo a sorpresa è di vent’anni fa, il Blackburn. In Spagna le sole sorprese del Valencia (Benitez) e dell’Atletico Madrid negli ultimi dieci anni. In Germania, le “eccezioni” del Wolfsburg nel 2009 e i successi recenti del Borussia Dortmund poi in clamoroso ridimensionamento. Gli ultimi colpi in Italia: Lazio 2000, Sampdoria 1991, il Napoli però con Maradona, il Verona nel 1985.

Sognare è bello, ma nel calcio moderno i sogni portano a nulla. Il Napoli è un miracolo di equilibrio e non sta a metà classifica. Vogliamo la luna, ma la luna non è ancora azzurra.
Mimmo Carratelli

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