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Il candore della Fiorentina: fu Pradè a trattare nel derby Roma-Lazio e Della Valle a incontrare Bergamo

Il ritorno della tenerezza, finalmente, ci voleva dopo questi lunghi giorni delle famose scene che fanno male al calcio. Il ritorno della tenerezza lo dobbiamo a Firenze, meno male, antica capitale d’Italia, luogo della superiorità linguistica e letteraria, modello, guida, bussola. È Firenze, grazie a Dio, o a Iddio, come direbbero nel loro Trecento, che ci restituisce il clima sereno, il sorriso, la gioia di credere che esiste un calcio al riparo dagli eccessi. Il loro. Bastava ascoltare Daniele Pradé, l’altro giorno, per sentirgli dire che sì il Napoli ha vinto in campo, ma la Fiorentina ha vinto fuori, lei, anzi essa, parliamo bene, essa e i suoi tifosi. E se lo dice messer Pradé, di messer Pradé bisogna fidarsi: era o non era un dirigente della Roma quando “Gastone” De Santis nel 2004 si propose come diplomatico per non far giocare il derby? Chi meglio di Pradé, suvvia, può sapere e raccontare chi vince dentro o fuori dal campo?
Forse Della Valle. Ecco, forse Della Valle, altra voce cui dobbiamo la restituzione della tenerezza. Dice che non avrebbe mai consentito al suo capitano di andare a parlare con Genny la carogna. Eh no, maremmamaiala, lui no, queste trattative luride e fuori dalla legalità, lui no: “Non ci facciamo mettere i piedi in testa da nessuno”. Bisogna credere, a Della Valle. Lo disse pure in tribunale a Napoli, al processo d’appello di Calciopoli, che “la Fiorentina non ha mai chinato il capo davanti a nessuno”. Certo, chiamò Paolo Bergamo, il designatore, lo incontrò in un hotel, ma “fui ingenuo”, la squadra diveva salvarsi, e si salvò: 3 anni e 9 mesi di inibizione nella sentenza della Corte federale, pena ridotta a 8 mesi dalla camera di conciliazione del Coni; e in sede penale nel dicembre 2013 la prescrizione per il reato di frode sportiva. Frode sportiva.
Ma grazie per queste dosi di tenerezza, per il tentativo di illudersi che c’è una parte del calcio italiano al riparo dalle infezioni. Quale parte? Sempre la propria. Anche se all’Olimpico la digos è andata a trattare pure con i capi della curva fiorentina, c’è una foto che gira sul web a testimoniarlo, immagini che la tv non si è sognata di far vedere. Genny aveva il profilo perfetto, meglio inquadrare lui. Del resto, chi può escludere che la digos fosse sotto la curva fiorentina solo per ascoltarne l’interpretazione dell’opera omnia di Petrarca. Noi abbiamo i Ciro e i Genny, loro i Baccio, e i Vario e gli Agnolo, vuoi mettere, non c’è partita. Fuori dal campo vincono, vincono sempre. Vincono pure se chiedono al Vesuvio di bruciare Napoli perché sono sfottò, ah, la goliardia fiorentina. Vincono se danno dello zingaro a Ibrahimovic e a Mihajlovic perché in fondo son stati du’ bischeri. Vincono se vanno a Torino con i cartelli che inneggiano all’Heysel, due minuti e ce lo siamo dimenticati. Pradé e Della Valle prima di tutti, senza sentire il bisogno di scusarsene. Non ne hanno bisogno mica, nella loro beata illusione di vivere senza pus, in una curva dove crescono i gigli e i gelsomini, e dove i capiultrà saranno Dante e Michelangelo.
Elena Amoruso

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