Il tifoso vuole solo vincere, l’estetica del calcio non gli interessa

Sabato sera, dopo il primo tempo io stavo male, come non potevano non stare tutti i veri tifosi, che ben conoscono le leggi non scritte del calcio: gol mangiati… Chi si sentiva soddisfatto per il gioco espresso non era il tifoso, ma lo spettatore neutrale. Quello che, appunto, vuole lo spettacolo. Ma lo sport non […]

Sabato sera, dopo il primo tempo io stavo male, come non potevano non stare tutti i veri tifosi, che ben conoscono le leggi non scritte del calcio: gol mangiati… Chi si sentiva soddisfatto per il gioco espresso non era il tifoso, ma lo spettatore neutrale. Quello che, appunto, vuole lo spettacolo. Ma lo sport non è in funzione dello spettacolo, bensì della vittoria. Chi tifa in uno sport, il calcio su tutti, vuole quello cui lo sport è funzionalizzato: la vittoria.
E anche alla fine della partita il dolore che avvertivo in petto si è dileguato solo dopo la lunga passeggiata necessaria per riguadagnare l’auto al fine di raggiungere i miei ‘fratelli di stadio’ in pizzeria (io ci vado solo se vinciamo). Cosa aveva generato la sofferenza? L’enorme ansia patita, fino al 3 a 1, per le tre/quattro occasioni lasciate al Milan (una squadra, allo stato, obiettivamente moribonda) dopo essere passati in vantaggio.
Detesto il chiacchiericcio televisivo e radiofonico, soprattutto quello post-partita, perché è fatto quasi esclusivamente della esultanza o della depressione determinate dalle emozioni prodotte dal risultato. Si vince e siamo fortissimi (e giù le esaltazioni per il Presidente, l’allenatore, i giocatori); si perde e siamo scarsissimi (e giù le invettive contro il Presidente, l’allenatore, i giocatori). La ragione, la capacità di ragionare sono di regola bandite.
E invece restano indispensabili. Proviamo allora ad esercitarle, perché – vedete – la condizione del tifoso finisce fatalmente per intersecarsi con quella di competente su un punto fondamentale: la vittoria. Il tifoso vuole vincere, il competente ragiona su come si può farlo. E allora, da competenti, domandiamoci: che senso ha lasciare all’avversario quelle praterie? Si potrebbe più saggiamente evitare di correre tanti rischi con qualche aggiustamento, rinunciando all’atteggiamento spregiudicato ed acquisendo un po’ di umiltà e di duttilità tattica?
Obiettivo del tifoso non è l’estetica: la sua più grande soddisfazione è vincere fortunosamente all’ultimo minuto, con un solo tiro in porta, o con un autogol, od un gol irregolare. Per il vero tifoso, l’estetica si lascia agli spettatori. Senza contare che – nessuno può negarlo – l’estetica è soggettiva, per definizione: esteticamente si può godere di una spumeggiante gara offensiva alla stessa maniera di una perfetta partita difensiva che ti consente di vincere con ripartenze fulminanti (come personalmente piace di più a me: ma questo è soggettivo, non rileva).
Comunque sia, dunque, il tifoso vuole vincere. E capire come si faccia a vincere richiede il contributo del competente. Ecco perché – diversamente da come pensano quelli che si lasciano dominare soltanto dalle emozioni “estetiche” – il tifoso, che pure è contento per una bella vittoria conseguita, deve lasciare spazio al competente, il quale non può, non deve perdere lucidità di analisi, e anzi ha tutto il diritto/dovere di interrogarsi su cosa non va, senza per questo vedersi dare del disfattista.
Disfattista è chi fischia i nostri giocatori dopo un errore: e soprattutto chi lo fa per sottolineare soltanto gli errori di alcuni (Insigne, Maggio, Inler, Dzemaili) e non di altri (Albiol, Mertens, Callejon), così – nel fare, stranamente, figli e figliastri – svelando un comportamento critico evidentemente pregiudiziale. Il tifoso, quando vede che un azzurro sta giocando male, lo sostiene! Toccherà al competente valutare e giudicare poi le prestazioni! E questo semplicemente perché è il tifoso a dare al competente la motivazione per esercitarsi. È nostro dovere allora – da competenti – interrogarci su come si può fare ad evitare di disperdere la straordinaria capacità offensiva e circoscrivere i rischi di prendere gol.
Se mi proietto su mercoledì sera, alla sfida di semifinale con la Roma, ribadisco da tifoso quel che ho scritto dopo la partita di andata: ti prego Rafone vedi di farci vincere e andare in finale! Da competente, però, devo ragionare. Con il Milan hai schierato una formazione non molto dissimile da quella che suggerivo come la più opportuna: in difesa a sinistra hai messo Ghoulam (del resto, con Reveillere infortunato, non potevi fare diversamente), a centrocampo hai cominciato con Inler e Jorginho aiutati da Hamsik, e in attacco hai inserito Mertens ed Insigne a sostegno di Higuain.
Con la Roma confermerai Ghoulam in difesa e toccherà certamente a Callejon al posto di uno dei due esterni (verosimilmente Insigne). A centrocampo, però, io non perderei l’equilibrio, perché la Roma là in mezzo non è la banda di musica dell’ormai cadente ‘uomo di plastica’. Fossi in te valuterei seriamente la possibilità di inserire Behrami al posto di Hamsik o di Jorginho. Soprattutto se dovessimo riuscire ad andare in vantaggio.
Non voglia Iddio che veniamo eliminati per una di quelle grossolane ‘sfasature’ – come sono gentile! – che pongono la bellezza in insanabile contraddizione con la vittoria!!!
Guido Clemente di San Luca

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